{Falling in Love Is Wrong }, (Gustav FF.) "Si, perchè tra sonno ed incubo, ci sono i tuoi occhi."

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_Ellis_
CAT_IMG Posted on 21/4/2008, 17:27




Inserita Foto di Dodò in spoiler. Ma non fatevi influenzare.



Allora, una semplice storia corta su GusGus ed un'altro personaggio, ovvero il suo tecnico del suono.

Che in questa storia, è 'na ragazza. XD

Prevedo che sarà cortina, sui due-tre chap ed ovviamente adorerei ricevere commenti, critiche, etc.
Comunque, vi lascio in balia di Dorcas, a voi il giudizio. <3<3<3

.-.-.-.-.-.-.


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{ Falling in Love Is Wrong ... Especially Whit The Carming Prince }



SPOILER (click to view)
Dorcas:

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Thanks tho cho89 per l'header della FF!




Sì, perchè tra sonno ed incubo, ci sono i tuoi occhi.
Non ti chiedo troppo.

Non credo.
Forse solo un poco d’affetto.

Ma quello l’ho già...?
Non so.

Dio, sei così... impenetrabile.
No.
Immoto.
Si, sei immoto. Un poco estraniato.
Distratto, tranquillo.

Sarcastico, diplomatico.
Serio, malizioso.
Solo Schäfer, senza troppi casini.

Ed io sono solo il tuo tecnico del suono, Dorcas Shröder.

L’eterna idiota, il tipico personaggio delle favole che s’inciufola del principe azzurro, sapendo benissimo che non è stato, non è e non sarà possibile.
Il masochismo esiste, gente. Il solo fatto di bramare “l’ama e sii amato” è da considerare il primo passo verso la pazzia, la frustrazione, le risate per cavolate, le uscite con altri uomini fallite per il solo fatto che loro non sono lui.

Mi aggiusto la gonna con un movimento secco della mano. Sbuffo, attorcigliando una ciocca dei miei capelli sull’indice.
Sono nervosa.
Tanto.
Odio quando gioca con me.
Quando distrattamente osserva l’ondeggiare della gonna, tutto tulle e cotone, sui miei fianchi. Odio quando i suoi occhi intoppano con i miei, e nella mia testa parte “Don’t Stop Me Now” dei Queen.

Poco fa, in corridoio, non aveva maglietta.
Colpo al cuore numero uno.
Mi ha fatto ridere anche quando non volevo.
Si può odiare chi si desidera?
Ha sfiorato le mie dita, ha toccato i miei capelli.

Si è impossessato della mia testa con solo uno sguardo ilare.
Come possono, quei semplici occhi castani, bloccare il mio raziocinio per cinque duri secondi?

.-.-.-.-

Oh, merda.

Ci rinuncio.

-non devi battere cosi forte! Non si sente la chitarra!

Sospirai.

-e non mi guardare con quella faccia! Non è colpa mia se oggi non ci sei!

Cerco disperatamente di ucciderla con lo sguardo, ma i miei poteri soprannaturali devono essersi andati a farsi fottere, oggi.
L'osservo con la coda dell'occhio, una mano a strofinarmi la tempia, mentre con l'altra poggio distrattamente le baccchette sul tamburo.

-e mi vuoi rispondere, Cristo Santo?!

Secondo sospiro nell'arco di due minuti scarsi. Mi fotterò i polmoni, continuando così.
Ultima occhiata disperata a Dorcas.
No, non è scomparsa in una nuvoletta di fumo, come grazie divina vorrebbe.

-io non capisco cosa ti stia succedendo oggi, Gustav. Sei assolutamente...

Bla, bla, bla.
E poi altro bla. Ma come non sapevi che bla? E certo, blaaaaaaaaaaaaa!

Si può odiare e conseguentemente uccidere il proprio tecnico del suono?

-Dorcas, grazie per frantumarmi le orecchie per il ragguardevole record di...- diedi un'occhiata distratta all'orologio - cinque minuti di puro monologo.

Alzai lo sguardo, giusto in tempo per vedere gli occhi in gloria di Dodò ed il suo successivo sbuffo.
La ragazza la prese con spirito, come sempre.
Si limitò a girarsi ed andarse, il passo pesante di un katerpillar e la gonna in vero stile hippy spumeggiante sui suoi fianchi.

Tanto lo sapevo che stava sorridendo.

Mi alzai dallo sgabello, seguendola.

-guarda che ho finito di farti la ramanzina.

I suoi occhi mi gelano con un'occhiataccia, mentre schioccò la lingua sardonica.
Incarcai il sopracciglio, sorridendole di rimando.

-tu non finisci mai, è dalla prima sessione di prove che non molli l'osso.

Persevero. Tanto lo so, che riesco a farla ridere dopo pochi minuti.
Conto sulle dita.

-il che è successo ben tre anni fà, piattola.

Mi squadra un instante, indispettita.
E poi si limita a osservare il corridio davanti a sè per due lunghi minuti.

Ed adesso si morderà il labbro per non ridere.

Come volevasi dimostrare, lo stà facendo.
Stà stuzzicandosi il piercing con la punta della lingua, un guizzo rapido, come la lingua di un gatto. Si morde l'interno della guancia, per non darmela vinta.

-ma ormai mi dai fastidio da troppo tempo... mi annoierei senza i tuoi perenni bla-bla.

Chiusi le dita della mano sinistra a becco, portandomele poi al viso.

-vero, Dodette?

Apro e chiudo le dita della mano, imitando il tono di voce squillante di Dodò.

-non puoi non parlargli, caVa. Ormai mi ha anche ribattezzato Dodette! Sono solo una povera mano. Quando non ci sei tu, ci sono io. Ti rendi conto del lavoraccio che mi dai?

Annuisce senza guardarci. Ripensandoci, forse non vuole avere la visione di me a petto nudo per colpa dell'afa berlinese?

-Gustav, Dodette, lieta di fare la vostra conoscenza. E, Dodette... continua così, vai forte piccola.

Sorrido, dirigendo la mano verso di lei e cercando di pizzicarle il naso.
Dodò prova a sfuggirmi, agitando la sua mano e scacciando la mia. Per poi girarsi, intercettando il mio sguardo.
Un paio di occhi d'un cupo blu che scintillano, forse, d'ilarità.
{O forse no.}
Un colpo al cuore, nonostante il mio sorriso rimanga imperturbabile.
E poi un lieve ed impercettibile sorriso obliquo, che si trasforma in una risata quando riesco ad afferrarle una ciocca di capelli decorata con perline di tutti i colori, molto stile afro.
Gridolino di vittoria da parte di Dodette. Risata cristallina da parte della Dodò.
Prova a liberarsi, ma non ci riesce.
Il contatto con le sue dita lisce e fredde, mi dà un lieve senso di calore alla bocca dello stomaco.
Forse è per questo che la mia amica Dodette non mollarà questa ciocca di capelli, ne andasse della sua stessa vita.

La risata di prima si diluisce in un gran sorriso che le circumnaviga la faccia. Distoglie gli occhi dai miei, incrocia le braccia al petto dandomi l'impressione che non sappia proprio dove metterle.
Mi sembra quasi imbarazzata.

Ma forse era solo un'illusione ottica.
Per me l'importante è che l'abbia fatta ridere.

Modestamente sono gustav schäfer, nome in codice: buon samaritano. Che sia volente o nolente non importa: tutti si affidano a me ciecamente, con la scusa che sembro un beato in processo di canonizzione.
E sono profondamente convinto di esserlo, dato che sono circondato da tre schizzati e ancora non sono stato internato in un manicomio.

Tre schizzati più un manager stressato.
Più un bodyguard-mastino.
Piú una crew di deliranti e oppressi omucoli/e che *col cacchio* vivono una placida vita al seguito dei Tokio Hotel.

Che, come detto prima, sono una manica di pazzi furiosi.

Più lei.
Lei.

Il mio tecnico del suono.

Pignola.
Esagitata.
Acida.
Dolce. Espansiva, affettuosa, anticonformista, originale. Anti-fan.
Amorale, maliziosa al limite del volgare.
E con un linguaggio da scaricatrice di porto.

Anomala.

Magra, alta un metro ed uno sputo, una bassotta {perfino più di me, il che è un toccasana per il mio ego virile}, una cascata di riccioli bianchi e ciocche di perline e rasta. Occhi blu-violaceo, pelle olivastra ed una spuzzata di lentiggini sul naso.

E quelle labbra rosee, con incastonati due piercing. Uno nel centro del labbro inferiore, l'altro sul lato sinistro del primo.

L'arrivo in corridoio, e la conseguente stoppata ad opera del braccio di Dodò, mi distrae da pensieri poco casti sulle sue gambe.
{E come mi sono ritrovato a pensare al suo fisico...?}

Ebbene sì, perchè il corridoio da sul salone.

E come ogni abituée della casa-studio Kaulizt, Listing&Schäfer sà, nel salone si concentrano le virtù e le torpitudini di questa casa.

Ovvero, rispettivamente, io e poi loro.
Loro.

-TU!

Tono furioso di Tom, occhiata indifferente di Georg.

-sei seduto sul mio capellino dei SOX della Chicago-1967-AtalantaMatch-Edition!

cCredo che l'occhiata indifferente di Georg sia dettata dal fatto che abbia tra le braccia Christa. E quando Georg { Dolcemente soprannominato dalla ragazza "Rapunzel" } è con Christa, stacca la spina.

Sempre che si ricordi di attaccarla, ma quello è un'altro paio di maniche.

Osservo con la coda dell'occhio come Dodò si caccia la mano in bocca per non ridere.
Ovviamente, Christa è amica sua. E, ovviamente, e mi sempre di ridondare persino troppo, in questa ridondante frase, Dorcas è la calma e pacifica tra le due.
Afferrate gli annessi e connessi?

-Tom.

La voce particolarmente rauca { i baci alla Georg fanno questo effetto, e, prima che me lo chiediate, non ho avuto la "fortuna" di sperimentare } appartiene a quel paio di braccia cariche di anelli e bracciali che si afferrano alle spalle del nostro bassista.
strano che non siano in altri posti.

-ma io ti vengo a rompere con i miei ciondoli, quando non ne trovo più perchè sono, casualmente, divenuti regalo-ricordo last-minute delle tue notti di passione?

Tom inizia a fischiettare, girandosi i pollici e saltellando da un piede all'altro con aria assolutamente distratta.

-e non cercare di svicolare, Kaulitz.

Sospiro da parte di Georg che, ovviamente, non stacca gli occhi dalla faccia assolutamente sconvolta, rossa e scazzata di Christa, che a sua volta cerca di fulminare Tom con lo sguardo.
Inutile cara, oggi i poteri soprannaturali fanno cilecca.

{o forse dipende da chi ti è affianco?}

Dopo un gioco di sguardi con Dodò, decidiamo sganasciarci dalle risate silenziosamente, solo per non disturbare quello storico incontro tra cervelli a livello mononeuronale.

Ed ecco che Georg dimostra di avere una voce.
Che in quel momento è sullo stile i-wanna-you-to-do-something-that-is-currently-censured-mode-on.
Tanto lo sò che ci arrivate anche voi.

-Come riesci ancora ad articolare un'acidità coerente?

Sguardo interrogativo da parte della ragazza, fissa da ben {udite udite} due mesi e mezzo!

-apro la bocca, parlo, penso e prendo ossigeno?

A parte il fatto che ormai Dorcas è appogiata alla parte per non cadere a terra, è che i suoi occhi { come fari } sono strizzati per impedire a delle lacrime d'ilarità di scendere, che la sua bocca è spalancata in una risata muta è che il fatto di poggiarsi al muro e contemporaneamente scivolare per terra le stà alzando pericolosamente la gonna { su, verso la grande incognita della mia vita }, vorrei sottolinerare l'ordine con cui Christa ha esposto gli atti.

Ragazzi, è il riassunto della sua personalità.

L'espressione di Georg si rabbuia.

-questo non và affatto bene, i mie poteri staranno perdendo efficacia..?

Il suo tono seCsi ovviamente fulminò la povera ragazza, che non avendo occhi che per lui, non face caso a Tom che cercava di suicidarsi con l'orlo della sua felpa per la melensaggine che fluttuava nell'aria.

-ah, di quello non ti devi preoccupare.
Pigolò, la voce debole. Un giorno o l'altro, MisterOcchiVerdi farà venire un'infarto a quella povera ragazza.
-la testa me l'hai già fatta perdere.

Tom tornò alla riscossa, spuntando oltre la spalliera del divano sul quale i due stavano l'uno nelle braccia dell'altro.

-oserei suggerire, lovers, di perdervi nelle braccia della passione nella camera del nostro, ormai cerebralmente deceduto, bassista.

I due non gli fecero caso. Al che io ebbi pietà di Tom e dissi le paroline magiche utili per far sloggiare quei due conigli.

-Saki ha comprato tre casse di durex in più, tutte in camera di Tom, Georg.

Neanche gli avessi pubblicizzato il nuovo basso della Sandberg, il ragazzo ha afferrato Christa come una qualsiasiasi ragazza vuole che il suo principe azzurro la prenda, ossia scarrozzandosela in braccio, cosa che ovviamente Christa ODIA, per scomparire sù, verso il piano di sopra.

Tom li guarda andarsene, crucciato.

Sà che la sua camera è la prima porta del corridoio.
E sà che è insonorizzata.
E sà che, invariabilmente, Georg ha sequestrato camera sua per le prossime tre ore.
ebbene sì, noi Tokio Hotel, per le cose sconce, utilizziamo la camera di Tom.
Non tanto perchè lì, con tutto il materiale che ci gira, ci siano sempre nuovi spunti.
Ok, l'ammetto, anche per quello.

Ma, soprattutto, perchè camera sua è l'unica con il letto a tre piazze.
Però è una cosa complicata, utilizzare la camera di tom.

Prima di tutto, per trovare il letto in tutto quel casino.
Secondo: sempre che ci sia ancora un letto a qualche parte.
Mica lo si vede a prima vista.

Ma tutto fà brodo. anche il gioco "alla ricerca del letto perduto".

Mi avvicino al povero, sconsolato Tom che, oltre avedersi sbattuto fuori dalla sua camera, ha ritrovato quello che ne restava del suo capellino.

Con una pacca solidale sulle sue gracili e svettanti spalle lo faccio tossire per mezzo minuto. Poi mi dirigo in cucina, mentre lui cerca di uccidere me e Georg a forza di imprecazioni.

Dodò mi segue liberando una fragorosa risata. Mi giro verso di lei, osservando come si tiene pancia con le mani, il viso distorto in un'espressione di pura ilarità.
I suoi capelli bianchi sono come una nuvola vaporosa che la sovrasta, mentre le spalle sono scosse da sghignazzate poco signorili.

È così comico il modo in cui ride, che mi ritrovo a ridere con lei.

Tom ci osserva con un'espressione trà il malizioso ed il vispo.
{ Mi chiedo perchè. }
Poi, alle spalle di Dodò, mi sillaba silenziosamente un "datti una mossa."

"Però con che?" sillabo io di rimando. Lui non risponde, sbuffando spazentito.
Lascio passare una singhiozzante Dodò in cucina, per poi chiudere la porta e rimanere solo con Tom.
Capendo l'antifona, si avvicina con passo saltellante, i rasta come tanti serpentelli, osservandomi con uno scintillio malizioso.

-Gugu, quando ti darai una mossa?

Inarco il sopracciglio.

-mossa con che, scusa?

Adesso tocca a lui inarcare il sopracciglio.

-Ma con quella là!
-là?

Indica spazientito la porta alle mie spalle.

-ma si, lei!
-lei.
-lei!
-lei?

Tom sbuffa, sconsolato.

Edited by _Ellis_ - 21/7/2008, 12:38
 
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Lales
CAT_IMG Posted on 21/4/2008, 20:12




Mi ricorda tanto un operà di Gaudì,tipo la Sagrada Familia o la Casa Batllò. Sarà perchè ti associo alla Spagna? Mah chi lo sà. Comunque non posso darti un commento subito,devo rifletterci un attimo e rileggerla. Al primo impatto è decisamente bella ma voglio essere più precisa,quindi *me va a ponderare attentamente su FF di Ellis*.
Bacio
Lale

Edited by Lales - 22/4/2008, 01:37
 
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Lales
CAT_IMG Posted on 22/4/2008, 00:46




Avevo scritto un bellissimo commento ma mi si è cancellato. Riscrivo quello che ricordo.
E' molto originale,ironica e soprendentemente surreale.
Dorcas (il cui nome è tutto un programma) mi sembra un personaggio balzato fuori dai bei tempi che furono,tipo anni 60/70,un pò hippy,un pò punk,ma anche molto grunge. Non voglio parlare per stereotipi assolutamente ma è strambo come personaggio e per questo mi intriga parecchio.
Gustav è semplicemente Gustav e perciò deve iniziare a darsi una svegliata ed incominciare ad aprire gli occhi sul mondo. Un personaggio che mi ha incuriosito molto è Christa,voglio proprio sapere cosa ha di speciale agli occhi di Georg (cavolo due mesi e mezzi corrispondono a circa 4 anni Tokiohotelliani - dato che loro provengono da un altro pianeta).
Per quanto mi riguarda brucerei tutti i cappelli di Tom Kaulitz. Per il resto sembra ci manchi qualcuno no? Non vedo l'ora di vedere come hai plasmato Bill,sicuramente nelle tue mani sarà un personaggio entusiasmante e spero bizzarro più del solito.
Mi piase mi piase,continua presto.

 
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nannekaulitz
CAT_IMG Posted on 22/4/2008, 12:39




bella!E' molto partiolare ed infatti alcune cose le ho dovute rileggere per fissarle in testa,ma non perchè tu on ti sappia esprimere,anzi....bellissimo il personaggio di lei.Sembra avere un qualcosa di tutti e 4 i nostri tesori....e poi GUSTAV....GUSTAV è GUSTAV....amoreeeeeeeeeeeee
 
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_Ellis_
CAT_IMG Posted on 24/4/2008, 23:29




M O D I F I C A T O O O!



Secondo Chap, People! Commenti al finale. XD Sempre se sopravviverete.

{ Falling In Love Is Wrong... Especially Whit H I M }



-lei?

Tom sospira, rassegnato.



-lei?

Tom sospiró, sconsolato.

-no, senti, non ci pensare minimamente.

Le labbra di Tom si curvano in un sorriso obliquo che è tutto un programma.

-e chi pensa cosa, scusa?

La sua lingua passa distrattamente sul piercing, mentre il suo sorriso sadico e con una punta di sincero sadomasochismo, che farebbe invidia a It di Stephen King, sta facendomi sentire come un’eretico alle prese con l’inquisitore Torquemada.

-io dico solo in base a quello che avverto nell’etere...

La sua regale mano si degna di indicare tutto l’ambiente circostante. Seguo attentamente il suo sguardo, cercando di non fargli notare che il suo tutto si riferisce ad un televisore al plasma momentaneamente ricoperto di panna, ad un divano in pelle nera visibilmente chiazzato di maionese ( giustamente abbinato ad un parquet reso scivoloso dal ketchup e dal quadro post moderno che sono le smaltate nere di Bill sulla parete ) e ad un paio di Vans distrutte che sospetto siano il tanto amato etere di Tom.

In quel caso, si spiegherebbe tutto. La classe non è acqua, e un paio di scarpe di Bill non sono sicuramente all’odore di colonia.

Sbuffo scettico incrociando le braccia, mentre il qui presente Casanova sembra essere pronto a farmi un corso di “attracco” accellerato. Glielo dico o non glielo dico, che quella francesina aveva concluso la serata in bellezza con il sottoscritto, a discapito del sorriso sghembo del soggetto in questone?

Naaa. È una di quelle cose da sbattere in faccia situazioni estreme: in punto di morte o quando ci si è già pienamente suicidati a livello sociale.
Stile colpo di grazia, causa embolo.

Comunque, tralasciando i miei alquanto improbabili trip, decido tornare al presente con un quanto mai appropriato colpo di tosse.

E voi credevate che Mr. Elettroshock fosse l’unico che distruggesse i timpani con i suoi attacchi di logorrea acuta?
Tzs.
Illusi. I due sono gemelli, nel bene (poco) e nel male (parecchio).

Tom s’interrompe nella sua dotta spiegazione sul piacere di avere una vasta collezione di tanga per guardarmi dall’alto del suo metro e fruscia ( qual tanto che basta per farmi sentire più tappo della norma ), vagamente infastidito del mio disinteresse per la sua regale persona.
Sospiro. Ancora.
Poveri, poveri i miei polmoni...

-quante volte ti ho detto che i tuoi sensori sono fuori parametro, Tom?
-Tante volte quante gliel’ho detto io, Gustav. Ma si ostina a non darmi retta. Finchè tutte quelle ragazze continueranno a svasarglieli...

Io e Tom veniamo sorpresi (sarebbe meglio dire che rischiamo un colpo al cuore) dalla silenziosa presenza di Bill, che ci sorride enigmaticamente dalla porta del salotto.

Si avvicina a passi leggeri, corpo sdutto di un ballerino di samba, occhi cerchiati pesantemente di khol nero, una (incredibilmente) semplice coda e un cappellino dal modello militare con tanto di visiera quadrata.

Il suo sopracciglio, decorato dall’onnipresente anellino argentato, è sul punto di sconfinare oltre il bordo del cappellino, tanto è inarcato causa sorriso obliquo quantomai minaccioso.
I suoi occhi scintillano di una ilarità a stento repressa e io so, me lo sento in queste robuste ossa teutoniche, che è profondamente incuriosito.

E si accanirà finché non riuscirà a ottenere quello che vuole, a costo di usare il sorriso più infingardo e l’aria più falsamente innocente che si sia mai vista.
Che, tra parentesi, su di lui ha questa apparenza di sincerità che solo Dorcas riesce a simulare con alrettanto successo.

( tutte le strade portano a Dorcas, no? )

-lei chi, Gustav?

Scuoto la testa sconsolato, fermamente deciso a fare in modo che gli affaracci miei rimangano tali.

Gli occhi di Bill scattano da Tom a me. E da me a Tom.

E mentre il gemello con i rasta che pensano per lui (no, non mi dite che credevate seriamente che lui ce l’avesse sul serio, un cervello!) ha un ghigno saputello che se non fosse per le orecchie gli farebbe il giro della faccia, il sorriso di Bill si allarga ( si, é possibile ) e, con un agile movimento ampliamente collaudato, si appoggia alla spalla di suo fratello.

L’attacco congiunto dei due gemellini Kaulitz-Kakatua no, per favore.

Portandomi una mano agli occhi, cerco con molta nonchalance di compiere una la prima smaterializzazione umana e sparire dal raggio d’azione di Bill.

Tom ridacchia sonoramente, mentre imita lo stesso battere il piedino del fratello { calato in un paio di scomodissime cult } sul parquet.

Credo che il mio scuotere forsennatamente la testa per impedirgli di dire alcunchè sia inutile.
Ma forse la minaccia di morte lo fermerà?

{ Ragazzo, se non vuoi morire, non lo fare.
Non parlare. Ficcati ciò che resta del tuo cappellino in bocca e tappati. }

-bhè, allora?

Tom incrocia le braccia sul petto, osservandomi con la coda dell’occhio, mentre un Bill dall’inquietante sorriso sornione si fà spazio nella mia top ten di possibili incubi notturni.

Voglio morire, Tom e il mio segreto con me!

-avanti, svelamelo: hai appena consigliato a Gustav di approfondito il contatto con Dodò? La sua tecnica del suono?

Terra inghiottimi.
No, meglio, inghiottisci loro.

Dato che non ho assolutamente voglia di sopportare un interrogatorio in piena regola, mi giro verso il mio porto sicuro: la cucina.
Ho già la mano sulla porta, quando la voce di Bill, con un tono dolcemente accattivante,
mi richiama.

-comunque, non credo che Dorcas sarebbe poi cosí male.

Argomento imbarazzante, bollente, patatoso e patatero. Che, ma guarda un pò, non ho assolutamente voglia di affrontare in un simpatico tète-à-tète con quelle lingue lunghe.
Vorrei tanto fulminarli con lo sguardo, ma ottengo solo l’ennesimo sorriso smagliante da 100 watt, che riesco a spegnere solo richiudendo la porta dietro di me e fuggendo nel “Remoto reame della Pizza Congelata”, dove, guarda caso, in qualità di improbabile donzella in difficoltà, c’è Dorcas.

( Tutte le strade portano a Dorcas, no? )

.-.-.-

Non credo che Dorcas possa essere definita come tranquilla, pacifica, o altri aggettivi di carattere tipicamente sedentario.

Dorcas è adrenalinica, è l’antitesi del pantofolaio e la nemica del sonno, la ragazza che ho dovuto portare a braccia dai divani di svariate hall su cui si era buttata “per solo cinque minuti, Boss” nelle camere di altrettanti alberghi, il tutto perchè la sua giornata lavorativa era stata di ventitre ore.

Voglio dire, dovrebbe inquietarmi tutto questo. Non c’é niente di fisso in lei, niente di anche solo vagamente longevo: forse solo i suoi tatuaggi se la scampano.
Eppure lei è una di delle poche persone che mi strappa dalla bolla in cui mi sembra di vivere per tutta la durata di queste rutinose turnée, che sembra cancellare e resettare la lista delle mie priorità, fino a far arrivare al primo posto il “farla ridere prima di colazione.”

Perfino quando legge, ha tutta una mimica particolare che le permette stare ferma e contemporaneamente non dare l’impressione di staticità.
Come ora.

Quando entro in cucina, sorprendo una crucciata Dorcas leggere il dorso del cartone del latte. Con il dito medio tormenta una ciocca di capelli bianchi sfuggita alla fascia, mentre le gambe tornite spuntano da un fitto tripudio di strati di tulle e cotone multicolor della gonna. I piedi minuti, calzati in stivaletti di pelle morbida, penzolano liberi dal ripiano della cucina dove è seduta.
É inutile domandarle di sedersi. Per lei non esistono sedie, sono troppo ferme, troppo fisse nello spazio relativo di un quanto mi breve attimo della sua quanto mai rapida vita.

Quando legge, i suoi occhi sono socchiusi nel tentativo di supplire al piccolo carattere delle scritte, mentre con la lingua si tortura l’anellino del labbro.

L’osservo scuotere la testa rassegnata, con conseguente smottamento di tutta la sua abnorme massa di capelli, per poi allontanare da sè il cartone del latte con una smorfia.

Per poi riavvicinarlo ancora. Rilegge meglio, storce le labbra con tanto di piercing, inarca un sopracciglio. Sospira, chiude gli occhi rassegnata, mentre le sue labbra sussurano un silenzioso gemito.
Sarà latte guasto, come sempre.

Rendendosi conto di essere osservata, alza gli occhi.

{ Chi è riuscito a regalargli un paio di calamite al posto degli occhi? }

Mi sorride, allegra.

-ehi, Gugu!

Inarco il sopracciglio, mentre a fatica districo il mio sguardo dalle sue ciglia.

-Gugu?

Sghignazza divertita, senza coprirsi la bocca con la mano e facendosi sentire, agitando le gambe avanti e indietro forsennatamente, quasi fosse la bambina che sembra essere.
Ma è una iena. È volutamente maleducata. È lei stessa. Ammirabile.

-assolutamente. Io mi becco Dodò, e tu Gugù. Così facciamo pendant.

Ridacchio divertito, mentre lei fà definitivamente volare il pacco di latte nella spazzatura con un lancio preciso e una smorfia di disgusto.

Decido di rivolgere la mia attenzione al contenuto del frigo, che, come al solito, è desolante.

Il Ritter di Tom, la panna di Georg, i pasticcini di Bill...
E poi si chiedono come possiamo avere ancora tutti i brufoli, a ventidue anni suonati!

-ehi.- la voce di Dorcas mi sorprende. – ma quelle non sono fragole?

Osservo meglio il terzo cassetto. Eh, già. Il peccato di gola preferito della nostra piccola Dodette.
Mi siedo al suo fianco sul ripiano della cucina, dopo aver opportunamente sciacquato le suddette fragole.

Lei mi sorride allegra, prima di mordere un piccolo pezzo di frutto rosso.
Mentre io posso solo mordere le mie, di labbra.

{ Perchè, quali labbra vorresti provare adesso? }

.-.-.-.


Fragole. Adoro le fragole. Quelle senza niente, una botta d’acqua e via, solo lavate e senza foglie. Le prendo delicatamente con due dita, le osservo attenta e le mangio a piccoli morsi, socchiudendo gli occhi e gustandomi fino in fondo quel sapore di selvatico, di vagamente asprigno.
Quel sapore che l’eccesso di zucchero elimina.
Forse è per questo che odio il prototipo della fragola dolce: è il più banale degli steriotipi, e in più fa pure venire la carie.

Esattamente come me, se non mi prendessi a piccoli e misurati morsi. Se non decidessi le mie prioritá e i miei problemi con tatto e delicatezza.
Se non mi criticassi con un poco di limone e non mi adorassi con un pizzo di zucchero, certo, ma a velo, quel tipo di zucchero, insomma, che non impiccia e solo allevia.

Se mi avessero shakerato con panna e zurro di canna, come si aveva intenzione di fare, come hanno fatto, imbottendomi di schifezze e tirandomi su a forza d’illusioni, probabilmente avrei fatto indigestione di me stessa fino al rifiuto piú totale.
Se mi fossi abituata a digerire tutto senza masticare, probabilmente sarei già precipitata oltre il sottile confine della droga, lo so.

E invece sono qua, a metaforizzare fragole e vite passate di una persona che, stento a crederlo, fossi io.

Un deglutire rumoroso e forzato mi distrae. Apro gli occhi di scatto, lasciando perdere filosofeggiamenti vari per lui, girandomi verso un Gus quanto mai rosso.

Osservo critica come, anche oggi, il ragazzo sembra gridare ai quattro venti un concetto tutto personale di “stuprabile”.
Perchè, perchè sembra avere un’allergia alle magliette?
Grido che il mio cuore raccoglierebbe con immensa gioia, se non fosse che quel monaco del mio cervello mi ripete come un mantra l’odiosa parola “amicizia”.
Insomma, siamo prosaiche. Non è affatto possibile. Tre anni passati dietro a lui e alla sua batteria, tre anni passati a girare l’Europa, tre anni in cui ho salutato un fidanzato, mollato amici vari e costretto una famiglia a vedermi solo per le vacanze obbligate.

Anni in cui, da brava beota, ho fatto esattamente quello che mi ero vietata: prendermi la sbandata per lui. Quante, quante volte ti ripeti che cose del genere nella tua vita non accadranno mai, per il semplice fatto che tu sei troppo forte per lasciarle accadere?

Tante volte quanto è grande l’errore.
E così, abbiamo potuto dare un tacito inizio al mio incubo personale: una brutta dipendenza da quel dopobarba dal nome impronunciabile, oltre che del proprietario del suddetto.

E tanti saluti all’equilibrio interiore. Il mio. Perchè il suo lo ha tranquillamente conservato.

Perchè tutto in lui è tranquillità, come se ogni movimento che facesse, lo facesse in piena stasi temporale. Puoi definirlo placido, tranquillone o distratto: di lui mi attira quella sensazione di pacificità che non ho mai provato prima in me stessa.
É calma pura, e io adoro la calma. Forse perchè, prima di lui e di questo incarico, i miei pochi punti fissi sono andati a farsi fottere con una velocità vertiginosa.

-no, non ti preoccupare.

Altro piccolo attacco di tosse. L’osservo dubbiosa.
E se non fosse per il fatto che lo conosco, potrei quasi chiedermi perché sia così imbarazzato per un semplice boccone di traverso.
Sbuffo dandomi mentalmente ella paranoica, l’osservo con la coda dell’occhio, intoppandomi con il suo sguardo.

Merda.

Abbasso gli occhi, li dirigo in fretta la parete di fronte a me e con molta noncuranza inizio a leccarmi il resto del succo di fragola dalle dita.

“Tanto” mi ritrovo a pensare incazzata “questo qua mi vede come la sorellina innocente. Solo perchè ho l’aspetto di una diciottenne non significa che non abbia ventitre anni, e che diamine!”

Altro colpo di tosse rumoroso. Mi giro indispettita verso Gustav.

-ma ‘sto kaiser di tosse, Gugu, perchè non te la curi...?

L’osservo scettica, mentre lui, mano educatamente sulla bocca, è in preda ad un attacco di tosse che lo ha reso quantomai simile ad un gambero.
Sospiro, occhi al cielo. Oddio. Non è che mi ritrovo il batterista dei Tokio Hotel fulminato a ventitre anni scarsi?
Rabbrividisco al solo pensiero i cosa potrebbero farmi le fans, se sapessero che è morto sotto gli occhi stupidi della sottoscritta.

Poi, con un tatto che stupisce anche me, poggio delicatamente una mano sulle sue spalle.

{ Ignoro deliberatamente la scossa che mi stà dando, forte abbastanza da farmi venire in mente improbabili piani per narcotizzarlo e farne quello che voglio.
Ma… Ignorare, Dorcas, ignorare è la parola d’ordine. }

La sua pelle liscia è rovente, e la schiena abbronzata è scossa da quella strana tosse.
Vedendo che la tosse non accenna a diminuire passo a metodi più energici, battendo sulle sue spalle per cercare di tranquillizzarlo.
Mi sporgo verso di lui, che sembra annegare nel suo stesso attacco,

-Oh Cristo, ma non avrai la febbre...?

Il dubbio mi assale. Mordendomi il labbro per la preoccupazione, poggio l’altra mano sulla sua fronte.

Oh, Dio.

È accaldatissimo, e lo sguardo vacuo che mi rivolge non fa che confermare i miei sospetti.

Decido d’agire d’urgenza, se non altro per farlo smettere di tossire: una mano sul petto, a sostenerlo perchè non cada in avanti, mentre l’altra a sollevare il meno per guardare in alto.

-guarda su, Gustav.

Ordine superfluo, visto che sembra aver capito al volo le mie intenzioni e cerca di assecondarmi, nonostante la mancanza di ossigeno gli stia sconquassando il petto.

-ma tu stai male.

Dinieghi e ancora più coff-coff a parte sua, povero.
Smettila, smettila di costringermi a sostenerti…

Sto qui a pensare al fatto che la sua pelle è bollente, quando l’unica cosa di cui dovrei preoccuparmi è che non mi vomiti sul pavimento!

Sono una fottuta egoista, ecco.
Non ci bastava essere frustrata, no.

Con un sospiro di sollievo da parte mia, sento la tosse diminuire. Si passa la mano sulla bocca, implorando con una voce d’oltretomba un bicchiere d’acqua.
Salto giù dal ripiano, per poi rifilare a Gustav una tazza colma fino all’orlo.
L’osservo bere imbambolata, dandomi mentalmente della cretina.
Eppure no, non ci riesco a staccare gli occhi da quelle labbra sottili.
Giusto in tempo per fare la figuraccia del giorno, dato che rialzando lo guardo dalla tazza s’intoppa con la mia espressione ebete, del tutto concentrata sulle sue labbra.

Arrossisco, mi do mentalmente dell’arrapata e decido darmi cinque minuti di tempo, prima di uscire da questa stanza in piena crisi di dipendenza.
Se non fosse che la sua voce, al momento pericolosamente roca, m’incatena al mio posto.

-Dorcas, perchè hai le mani fredde...?

Me le osservo stupidamente, arrossendo come un peperone e pregando un qualsiasi santo in paradiso che non si sia accorto di nulla. Lo sento ridacchiare, lui, il colpevole di tutto il mio imbarazzo, l’abominevole essere che mi fa pendere dalla sue labbra.

-io... scusa.

Guardo il pavimento per non scavarmi una fossa.
Perché, perché mi sono inutilmente scusata?

Dorcas, hai appena perso la tua dignitá.

(oddio, non dovrebbe essere plausibile essere cosí felici di perderla, no?)

No. Significherebbe l’inizio della fine.

-oh, no. Mi piace che siano fredde. Io ho così tanto caldo...

L’osservo con la coda dell’occhio. Mi sorride, pacifico, con l’espressione ancora affaticata per aver tossito troppo. Mi mordicchio il labbro, nervosa.

Ha le labbra gonfie e le guance arrosate. Gli occhi sono socchiusi, mentre il capelli sono più lunghi del solito e arricciati per il sudore.
La pelle el petto è lucida, e posso distinguere ancora la sagome della mia mano sulla pelle della sua gola.

Sembra...

Ah, Dodò, stoppa qua. Non puoi. Non puoi immaginartelo in quella situazione. Non di fronte a lui.
Distolgo gli occhi imbarazzata.

{ Cretina, come se lui potesse vedere il trip mentale vietato ai ventiquatrenni che ti stai facendo. }

Con un gesto quasi timido, poggio delicatamente la mia mano sulla sua fronte, provocando un sospiro di sollievo da parte sua. Socchiude gli occhi con un appagato in faccia.

( ma quello, non é un sorriso malizioso? )




Edited by _Ellis_ - 8/5/2008, 17:03
 
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Lales
CAT_IMG Posted on 26/4/2008, 14:00




Ma questo Bill è così Bill! La parte in cui lui e Tom si concludono la frase a vicenda è molto inquietante,mi fa pensare ad un film dell'orrore. Apparte ciò Elli il mio commento è come al solito più che positivo. Le fragole..mi hai messo una voglia XD XD
 
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_Ellis_
CAT_IMG Posted on 11/5/2008, 17:39




Colonna sonora: Wer Bin Ich – LaFee. { non sò neppure quello che dice. ._.• ma la melodia è stata l’ispirazione per tutto il chap.}

.-.-.-.-.-.-.-



Vorrei che tutto fosse facile. Bramerei il poter staccare il cervello per cinque, eterni minuti. Cosa impossibile, dato che se lo facessi, significherebbe un collasso.
Ogni parte della mia giornata tipica è un susseguirsi di attacchi e prove, tutte cose che io devo superare con l’autostima intatta, un sorriso sulle labbra e l’aria di chi è perfettamente ok.
La gente non chiede altro che avere punti di riferimento che non crollano mai, non chiede che l’eterno, fiducioso e persistente protrarsi nel tempo di un’oggetto, persona o sensazione.

Non ammettono e non concedono debolezze: il tuo sorriso è oro, la tua apparente fermezza è la loro fermezza. Dai tuoi gesti dipendono conseguenze che poco hanno a che vedere con te, eppure sai che potresti provocarle con un schioccare di vita.

Ma la gente inizia a dubitare di te, quando scopre che sei umano anche tu.
E niente è più pericoloso che un massiccio processo di dismitificazione, per crollare con il, mi si passi l’espressione, culo per terra.

Il domani.
Quando mi fermo, tra una turnée e l’altra, mi viene da chiedermi se ce l’avrò, un domani.
Per poi ricordarmi che il mio domani è già qua.
Preme, incita e mette ansia, è come fare un’eterna corsa inseguiti da una muta di mastini.
Un domani che ti è ricordato costantemente dal tuo manager, dai tuoi amici/colleghi, da una famiglia che ti vede si e no a natale, pascua e d’estate.
È quando arrivi in quelle situazioni in cui tutti sembrano gridare un assordante “muoviti!”, che poi scopri che ti sbagliavi.
Che non saresti vissuto per sempre in quella bolla dorata, che non tutto nella tua vita futura serebbe stato una corsa contro il tempo.
Che non tutti ti avrebbero sospinto con forza verso un quantomai evanescentte “futuro”.

Non l’avrebbero fatto e non l’hanno fatto.
C’è stato qualcuno che mi fermato, in tutto questo. Che mi ha incatenato ad un momento preciso, che mi ha chiesto se, per favore, potessi un momento dimenticarmi di tutto quello che stesse vorticando intorno a me. Per poi prendermi la mano, e condurmi in un posto nuovo.

Avverto che il letto cigolando si abbassa un poco, mentre qualcuno si siede accanto a me.
Taccio un momento un minuscolo errore d’ortografia, per poi fermarmi e aspettare una sua domanda.

-che scrivi?

Appunto.
Il suo tono è curioso, mentre la sua mano calda si poggia dolcemente sulla mia spalla. Nel mio campo visivo entra una mano sommersa dalla manica di una felpa troppo lunga per lei, mentre l’indice, che spunta dal bordo, indica il foglio su cui scrivo.
Distolgo lo sguardo dall’ultima parola che ho scritto. Sorrido divertito, mentre mi giro verso di lei. Gli occhi scuri candidamente spalancati e le labbra socchiuse, è il ritratto della curiosità.
E io mi ritrovo a pensare che non lo dimostra affatto, il suo essere maliziosissima.
Ha occhi neri che sono fatti per guadare innocentemente, non per ghiacciarti con un battito di ciglia. Ha labbra rosse che dovrebbero palpitare per il troppo sorridere, non stringersi in una linea severa.
Ha una grazia tutta particolare, che dovrebbe ingentilirla, e non renderla un vortice su due gambe.
E, come sempre, mi viene voglia di baciarla per questo.

Sciocco la lingua, osservando la sua espressione interrogativa.

-niente, le mie memorie per quando mi vorrò ritirare.

Ridacchio.
Lei inarca un sopracciglio divertita, mentre le labbra carnose si stiracchiano in un sorrisetto che niente ha a che fare con l’espressione innocente di prima. L’ho già detto, che le leggi della anatomologia con lei non ci azzeccano proprio?

-metti le mani un poco avanti, non trovi? E... no, non rispondere.

Mi poggia l’indice sulle labbra, troncando una piccola risatina da parte mia. Mi guarda con un un sorriso obliquo e l’osservo frugare un poco nell’enorme felpa che, ovviamente, è del sottoscritto. Lei viene in studio appena finisce di lavorare, non ha tempo di cambiarsi. Quindi, ancora non ho capito come, riesce sempre a fregarmi gli abiti.
Cosa che non mi dispiace poi troppo, devo dire.
Sembra cercare in tutte le tasche che credevo non potesse avere una felpa, lingua tra le labbra e rifunfugnando imprecazioni contro una felpa che so che ama.

{ è lei, la mitica, la “SC 85” rossa del mio primo photoshoot fotografico. Che, ovvio, a lei sta grande il doppio. O triplo.}

-trovata!

Mi osserva trionfante, mentre dalla tasca centrale della felpa rossa riesce finalmente, e non senza un buon numero di sbuffi contrariati, ad estrarre una bottiglia di thè freddo che mi porge con un sorrisone divertito.
L’osservo un momento, sinceramente stupito, rifiutandomi di credere che mi abbia fatto quella piccolissima sorpresa.
Poi scoppio a ridere.
Lei s’imbroncia un poco.

-ehi! Non è colpa mia se tra tutti questi metri di stoffa non riesco a trovar neppure me stessa!

Scolla le spalle, gli occhioni neri spalancati e l’espressione più comica che le abbia mai visto.
Sempre ridacchiando, le arruffo i capelli scuri a mò di premio, mentre con l’altra ho già afferrato la bottiglia.
Sbuffa contrariata, cercando inutilmente di fermarmi e imprecando alla grande.

-Georg, Cristo Santo, ti ho detto mille volte che io con questi capelli mi ci guadagno lo stipendio!
-e io ti ho detto mille volte di non nominare tuo fratello invano!

Replico, mentro mi sto già portando la bottiglia alle labbra. L’osservo tentare di sistemarsi i capelli con movimenti impacciati per colpa della felpa, mentre biascica altri insulti di natura poco elegante all’indirizzo delle mia persona, il tutto inframmezzato da sospiri contriti. Ci rinuncia con un “maledizione!” finale, per poi guardarmi di sbieco e prendere il blocco su cui stavo scrivendo.

-si è mai visto Georg Listing scrivere manualmente? Da quant’è che non lo facevi, dall’Abitur*?

Scrollo le spalle, guardando per un momento il tetto.
Quando ritorno a guardarla, è assorta nella lettura. Inclino leggermente la testa per bere più thè, osservando come il capelli, ancora bagnati per la doccia, siano raccolto in uno chignon che lascia più ciuffi fuori posto di quanti non ne rimetta in ordine.
Sorrido contro l’orlo della bottiglia, quando la vedo spalancare gli occhi.

Distoglie lo sguardo dal blocco inerte nelle sue mani. Guarda la parete di fronte a sè per vari secondi, prima di tornare a me. Gli occhi sono ancora spalancati, mentre il suo dito indice picchietta insistentemente contro l’ultima frase del testo.

-non puoi averlo fatto!

Smetto di bere.

-cosa non avrei dovuto fare, Christa?
-citarmi!

Sospiro, gli occhi in gloria. Poggio la bottiglietta per terra, insieme con il bloc-notes che le ho preso dalle mani. Guando torno a guardarla, l’espressione scandalizzata non accenna a cancelarsi dalla sua faccia.
Prendo il suo viso tra le mani, avvicinandolo a me.

-Christa, stiamo o non stiamo insieme?

Sbuffa, ma un sorriso enorme le distende comunque le labbra.

-egocentrico deutschlover di un bassista...
-siamo migliorati dallo “stronzo” dell’ultima volta!

Ridacchia, per poi buttarsi a peso morto su di me.
Ovviamente finiamo lunghi distesi sul letto, situazione che potrebbe rendere inutile la doccia di Christa di poco fà.

-lo so cosa stai pensando, cerdo. Ed è un no!

Scoppio in una risata, mentre la stringo per i fianchi.

-chi non vorrebbe una ragazza che ti insulta in cinque lingue differenti?!

La sua mano percorre la pelle sotto la maglietta, ma solo per piantarmici le unghie a fondo, strappandomi un lamento di dolore.

-così impari.

L’osservo crucciato, mentre tocca a lei adesso sbellicarsi dalle risate.
Si passa un’ultima volta la mano sul viso per scacciare le ultime lacrime d’ilarità. Piange sempre, quando ride troppo.

Ci accoccoliamo meglio nel mio letto a due piazze, ancora sfatto da prima.
{ e per fortuna che non c’era Bill, al piano di sopra, sennò sicuro che un cazziatone per il troppo rumore non me lo toglieva nessuno. }
Poggia distrattamente la testa sul mio petto, mentre la sua mano fà su e giù per il mio fianco. Nonostante abbia indosso i jeans, avverto come la sua pelle è caldissima in confronto con la mia. Questa ragazza è una stufa, rende inutili i piumoni.
Afferro la sua mano, quella che andava sue e giù, per giocherellarci. Osservo divertito il medio, nella cui falange vi è tatuato, a forma di anello, un “freiheit” in caratteri corsivi. Sollevare quel medio rende l’affanculo più volgare un raffinato gesto nobiliare.
Ridacchio al mio stesso paragone, mentre avverto come muove la bocca per parlare e come la sua voce vibra nella mia cassa toracica.

-non trovi che stiano bene insieme?
-stiano?

Credo di intuire dove voglia andare a pare.

-si, insomma... sono abbinati, fanno contrasto. Prima di tutto sono entrambi bassotti, e questo è un’ottimo punto di partenza.

Ridacchio.

-non credo che gli farebbe molto piacere sentirlo, non trovi?

Lei solleva la testa dal mio petto, guardandomi per un momento dubbiosa.

-ma si muoiono dietro, non mi dirai di no!

Scuoto la testa, mentre con una mano sciolgo il suo arroffato chignon.

-niente da obbiettare. Ma finchè non cambieranno priorità, c’è poco da ricamarci sopra.

Sbuffa, delusa. Le ho appena sfatato un mito.

-lei e il suo braccio...
-lui e il suo rinchiudersi nella musica.

Replico.
Scioglie la stretta delle nostre mani, per passarsele sulla faccia con un sospiro stanco.

-sono così rinchiusi in se stessi, che mi chiedo come facciano a riconoscere tutto quello che li circonda.

Le scosto le mani dal viso.

-non sono chiusi, sono ciechi. Non vedono come spesso si feriscono a vicenda. Si limitano a testare le reazioni l’uno dell’altro. Giocano.

Mi guarda affranta.

-eppure sono così complici... quando sono sola con loro mi sembra di essere tagliata fuori da un rapporto molto simile a quello di Tom e Bill.

Le accarezzo una guancia.

-infatti quando Tom e Bill litigano, Dio ce ne scampi e liberi.

Un mezzo sorriso le illumina il viso.

-e poi ammetilo. Adesso che tu sei felice, vorresti che tutti fossero felici.

Replico io, sinceramente divertito.
Mi guarda, un sorriso malizioso e un sopracciglio inarcato preannunciano una battutina.

-oh davvero, Mr Listing?
-assolutamente, Wedding Planner.

Poi inizio a farle il sollettico, cosa che soffre a livelli impressionanti.
Nella baraonda che ne segue, riesco a invertire le posizioni ritrovandomi così a sovrastarla.
Vorrei baciarla, ma la sua mano mi blocca.

-e così, vorresti che tutto fosse facile?

Inclino la testa per da un lato.

-non sarebbe tutto più semplice?

Sorride, con l’indice percorre la linea della mia mascella.

-può non essere facile, ma può essere bellissimo.

Ridacchio.

-conosco una certa persona di cui potrei dire lo stesso.

L’osservo arrossire, per poi impedirle di respirare per due minuti buoni.

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

-credi che dovremmo iniziare a prepare gli smoking, Tomi?

Mio fratello mi guarda con un sopracciglio talmente inarcato che potrebbe fare concorrenza al mio, mentre la sua bocca spalancata mi fà capire che stesse digrumando avidamente pop-corn, prima della mia salutistica interruzione. Sbuffo, gli occhi al cielo, mentre decido salvare la milza di mio fratello, la parte porca della coppia, finendo i pop-corn al posto suo.

Prevenendo una sua posibile rappresaglia verbale, cosa che inonderebbe tutto il salotto di poco igenici frammenti di pop-corn masticati, lo distraggo.

-ma si, sai, tanto tra Christa e Georg...

Appoggiato al bracciolo del divano come sono, potrei essere facile preda del mio fratellino maggiore, nonchè due centimentri più basso di me, se non fosse che l’argomento credo interessi anche a lui.
Altrimenti nel suo sguardo non brillerebbe quella scintilla d’intelligenza che, stento ancora a crederlo, mi dimostra che anche lui, a volte, ha un cervello.
Gli avrò traferito un pò di neuroni per osmosi?

Sghignazza sonoramente.

-contento del fidanzamento, Bill?

Lo guardo sdegnato, mentre con un gesto indifferente butto il sacchetto di pop-corn ormai vuoto dietro di me.
Occhio non vede, cuore non duole. Ovviamente l’occhio della donne delle pulizie vedrà e il suo cuore duolerà parecchio, visto il cazziatone che mi ha rifilato l’ultima volta, quella sottospecie di Signora Rottermayer troppo secca.

-assolutamente si. Mentre il tuo allegro compagno di bravate sembra essere del tutto intenzionato a mettere la testa a posto. Contento, Tomi?

Il suo sorriso si dimezza, mentre continua a ignorare la partita di calcio alla tv.
Tanto l’Hannover ha perso e il BayerMonaco è in finale, già si prevedeva.

-mi mancherà, lo ammetto. Ma tu sei un bugiardo, tu a Christa non la sopportavi...

Decido di osservare dignitosamente la mia french nera, piuttosto che rimirare in tutto il suo splendore il ghigno del gemello malizioso.

-solo gli stupidi non cambiano idea. Ecco perchè sei ancora fermamente convinto che finirai a letto con le Olsen, prima o poi.
-parla il monaco benedettino... dov’è Leonart, Bill, dov’è? Eh?

È incredibile come il mio gemello riesca ricordarmi cose del genere. Tento di glissare, ma i suoi continui “eh? eh?” sono servanti.

-se proprio vuoi saperlo, buzzurro, adessò sono con Katrine.

Scoppia a ridere, ironizzando sopra la mia capacità di “digerire” tutto.
Per vendetta, decido di fregare anche la sua poco salutare coca-cola al fratello con la milza in pericolo.
È incredibile come sono fulmino e perfido. Oh, come mi amo...
Lui mi guarda contriato un momento, prima di sospirare affranto e rivolgermi un’alzata di dito medio che sa tanto di consumato.

-comunque, a che ci serve comprare uno smoking permanente se sono solo quei due quelli che staranno insieme? A chi altro vuoi fare da testimone, Billino?

L’osservo un momento, sinceramente stupito che sia veramente così cecato.
Si, quell’espressione perplessa sembra essere assolutamente veritiera. L’ho detto e lo ripeto, lui l’intelligenza l’ha acquisita da me. Per l’intuito non c’è stato niente da fare, mi spiace.

-e Dorcas e Gustav dove me li metti, scusa?

La sua risposta è un tremebondo rutto.
La mia mano si strofina la tempia, mentre sono grato al fatto che le sue fan { ne ha, incredibile! } non l’abbiano sentito.
La classe non è acqua, ma sicuramente per Tom è birra!

-e dopo questa quantomai rispettosa e sagace risposta, di cui vorrei sottolineare l’intelligenza intriseca, posso dirmi ragionevolmente soddisfatto riguardo al mio dubbio: tu non fai il cretino, tu lo sei!

Si stravacca ancora di più sul divano spalmando il suo metro e ottantadue, chioma fossilizzata inclusa, di statura per poi osservarmi curioso.

-io non li metto, semplicemente. Che facciano loro.

Sono scandalizzato.

-ma trasudano storia d’amore tormentata da tutte le parti! Dico, ma li vedi? Sono fatti per stare insieme!

L’occhiata scettica di mio fratello mi colpisce nel profondo. Troppo melodrammatico, forse?

-io non so per che cosa sono fatti, per di sicuro so che si fanno: il loro secondo nome è “lavoro”!

Fa svolazzare la sua mano destra in giro, indicando vagamente la direzione dello studio.

-mi hanno fatto rifare le prove cinque volte, Santissimo! Cinque! C i n ...
-Tomi, non è che se me lo sillabi lo capisca meglio. Sei tu quello che ha bisogno che gli si ripetano le frasi svariate volte!

Mi imita contrariato, dando alla mia voce un sonoro e acuto accento da donna, facendo cadere con un movimento inconsulto del piede un pacco di lettere appoggiato al tavolino del salotto.
Con un sonoro sbuffo, si inginocchia per raccogliere la rassegna stampa che anche oggi Saki ha portato nella nostra casa studio.

Nel mentre, avvisto e conseguentemente rapisco quella povera vaschetta di gelato che si scioglieva, la negletta, abbandonata per terra.

-tomi, non ti offendi se ti frego il gelato, vero...?

Mi interrompo a metà di una scucchiaiata, dato che la mancanza di risposta di mio fratello mi costringe a girarmi verso di lui per guardarlo. Non sia mai che si stia preparando per vendicarsi di tutte le mie “attenzioni” di oggi e mi voglia pestare.

Ma non credo che sia questa la sua intenzione, a meno che non decida di tagliarmi le vene con la lettera che in mano.

La sua espressione è di puro sbigottimento. Si limita a stringere tra le mani una carta ai toni ufficiali, che come destinatario riporta il nome della sopraccitata Dorcas. Il resto delle lettere non raccolte si limita a giacere per terra, totalmente dimenticato da Tom, che sembra essere alla seconda rilettura della carta.

Incredibile, qualcosa che susciti l’amore per la lettura in mio fratello! Qualcosa che non sia un playboy!
Curioso, sono curioooso! Ciò che interessa a mio fratello mi repelle, ma ciò che lo sciocca è il giusto per me. Quindi mi sporgo, e leggo da sopra la sua spalla.

Esimia Fraulein Schröder,
siamo lieti di informarLa che si prospetta un’importante opportunità per lei. Dati i nostri progressi della medicina nel campo della chirurgia di precisione, ci sentiremo onorati se Lei volesse sottoporsi all’operazione, probabilmente la definitiva, che potrebbe restiturLe un uso pressocchè ottimale el suo polso e avanbraccio sinistro, uso perduto dopo lo spiacevole avvenimento di cui conosciamo l’iter.
Naturalmente, visto le singolari probabilità di recuperazione, la Universal si farà carico del costo dell’operazione e relativa riabilitazione a lungo termine, come concordato da contratto precedente all’attuale.
Nel foglio successivo, vi saranno tutte le informazioni del caso.
Esimi saluti,
Reparto Risorse Umane “Universal Deutschland”.

-che caspio è questa storia, Tomi?

Tom richiude la busta e la ripone silenziosamentre tra le altre sparse sul tavolino.

-Dorcas, operata...?

Lo guardo con la coda dell’occhio, mentre la sua espressione sbigottita non accenma a scomparire.

-e per una causa grave, che sembra le avesse inabilitato il braccio! Il sinistro, poi...
-... quello tutto tatuato.

Ci scambiamo uno sguardo complice carico di significati, mentre ognuno inizia a dare voce alle domande dell’altro.

-una parte del passato di Dorcas oscura?
-contratto precendete con la Universal?
-ma lei non è stata sempre un tecnico del suono?
-incidente?
-operazione definitiva?

Tacciamo per un momento. Mi rialzo dal bracciolo con un piccolo saltello, lasciando la vaschetta di gelato, anche lei ormai vuota, per terra.
Tom mi osserva dal basso, mentre io, manisui fianchi e marcia rapida, inizio a girare intorno al divano.

-e se...

Tom si strofina la tempia con una mano, lasciandomi il tempo di completare la domanda.

-Dorcas avesse...

Il mio tono è dubbioso, come quello di mio fratello.

-...un passato?

Tom mi cerca con lo sguardo, osservandomi esistante. Lo rassicuro con un cenno del capo.

-di cui non siamo a conoscenza?

Completo finalmente io.
Fermo la mia marcia, mentre Tom smette di schiocarsi le dita per il nervosismo.

-e se fosse solo una stupida lettera di una stupida operazione, Bill?

Ma non ne è convinto neppure lui. Infatti lo vedo scuotere la testa, contrariato.
Sospiro, mentre mi sistemo con le mani il cappellino sugli occhi.

-il suo braccio sinistro, il tatuato.
-non ha spesso spasmi, in quel braccio?

L’osservo con la coda dell’occhio.

-spasmi?
-si, sai... a volte le trema, non può portare troppi pesi... difatti, l’attrezzatura di Gustav se la carica in spalla, no?

Rimugino, contrariato.

-ma non le succede quasi mai...
-e non ci ha mai detto perchè...

Nervosi, pestiamo entrambi un piede per terra. Poi ci guardiamo, giusto per sincronizzarci.

-e se fossimo solo paranoici, Tom?

Scuote i rasta furiosamente. Mentre si sfrega le mani in un gesto nervoso.

-non lo so. Ma non mi quadra.

Mi siedo sul tavolino, di fronte a lui. E mentre ci osserviamo, occhi nocciola contro occhi nocciola, sentiamo un urlo furioso che sembra venire dallo studio. Sobbalziamo, spaventati.

-vaffanculo, Gustav!



.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

*Abitur: esame di maturità tedesco.

Dum-da-dum... e così, terzo chap fuori! <3<3<3

Lo dico e lo ripeto: sono un’emerita novellina in fatto di narrazione, quindi non so se questo chap è più o meno leggibile.
La tastiera si è riaggiustata per merito del GranMarionettista, ossia miracolosamente. Ho cercato di correggere più errori possibile, ma, probabilissimo, queste potrebbero essere le ultime parole famose prima di scoprire l’orrore del secolo. T.T

Questo capitolo, comunque, mi piace: non credo di averli resi molto bene, questi TH, ma mi è piaciuto troppo immaginarmeli così.
Ho deciso di mostrare Dodò e Gus come non li avevamo mai visti, ovvero da parte degli altri abitanti dello studio.
Lo ammetto, prevedevo un capitolo differente, ma si è praticamente scritto da solo. Il mio pezzo preferito è l’intro e il dialogo dei gemelli, ma voi mi direte.
Inoltre spero di aver messo la pulce nell’orecchio a tutte riguardo il passato di Dorcas. E trattatemi bene Christa!

Ovviamente i capitoli non possono essere più tre, e non so se stò facendo bene a tirare in ballo il passato di Dorcas, che mi hanno riferito, è “piuttosto improbabile ma non impossibile.” Ma è importante per capirla un pochettino di più.
Senza il suo passato potrebbe essere una MS qualsiasi, ma mi stà venendo il dubbio che potrebbe esserlo ancora di più raccontandolo. Uff, scriverlo o non scriverlo? { xD Shakespeare si starà rivoltando nelle tomba.}
 
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Lales
CAT_IMG Posted on 15/5/2008, 11:13




Christa e Georg,strana coppia,non sono ancora riuscita ad inquadrarli per bene. Lui mi sembra fin troppo rilassato e lei fin troppo agitata. Vale sempre la regola degli opposti che si attraggono? Mah,spero me lo farai capire presto XD
In questo capitolo Dodò e Gugu mi sono mancati,che fine hanno fatto? Certo svelare il passato di Dorcas può essere utile al fine di capire meglio lei,ma cavolo quei due sono cosi ciechi che non lo capiscono che muoiono uno dietro l'altro?!? E poi Dodò è così elettrica che non può diventare una pecorella alla vista del caro batterista,devi fare qualcosa,assolutamente XD. La coppia Cip&Ciop alias Tom&Bill è davvero strepitosa,Bill mi fa troppo ridere,mentre Tom sembra proprio lui in tutta la sua stupidità brillante.
Bella Bella Elli,mi piace,adoro il tuo modo di scrivere così contorto {bada,non è un'offesa,anzi,niente è banale quando scrivi tu}
Detto ciò aspetto ansiosa il seguito,e non mi dire che ci mancano pochi capitoli eh!!
Bacii
Tchuss
 
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_Ellis_
CAT_IMG Posted on 23/5/2008, 02:39




Quando i Tokio Hotel non scorrazzano per il globo {cosa alquanto rara, per quei quattro}, normalmente risiedono ad Amburgo.

Sempre che David non gli organizzi qualche concerto non previsto e ovviamente ai quatto angoli della Germania. Il post-tour come un periodo di riposo? Scordatevelo.

La Universal, per motivi di comodità {la sua, perchè è sempre meglio avere vicino i crucchi dagli incassi d’oro}, gli ha meso a disposizione non un solo studio, bensì un’intera casa.
Casa è solo un poco eufemisticamente riduttivo, dato che è grande come un duplex, ma questi sono dettagli da svariati milioni di euro.

Ma non dimentichiamo che qui gli inquilini non sono solo quattro. Ingenui voi se lo credevate. Se hai un reddito annuo superiore ai 72.000 euro annui, accadono due cose: primo, il governo federale ti ringrazia per aver rimpinguato le casse dello stato centrale; secondo, se sei un umile lavoratore della universal, se la fama ti perseguita e sei più famoso della stessa Angela Merker, allora non hai più privacy.
Scordatela, a partire dalla tua prima apparizione a VIVA.

Insomma, casa loro è la zona di ritrovo più o meno affollata di tutta la crew. Ovviamente questa convivenza forzata è tutt’altro che tranquilla: alle otto di mattina, i tecnici di studio che discutono con il tecnico capo, all’una il manager che tartassa la segretaria, alle undici di notte i musicisti che implorano pace.

In parole povere, un caos.

È per questo, che nella casa-studio dei Tokio Hotel ognuno ha un suo particolare angolo, un posto privilegiato dove stare in santa pace, un posto dove ritagliarsi i propri spazi e tempi.
Deve avercelo, sennò come farebbe a non finire sull’orlo di una crisi di nervi nel primo mese? Invece così possono tirare avanti fino all’anno intero, ma-pensa-tu-che-fortuna.

Normalmente il salotto, dai lunghissimi divani in pelle nera e televisore al plasma di svariate decine di pollici, è una zona neutrale, anche se dall’ordine -o forse dalla sua assenza- non si direbbe.
La cucina, tutta rossa e acciaio inox, è conosciuta dagli inquilini come “il deposito” { Solitamente di Pizze } tranne quando Gustav o Christa si mettono ai fornelli: allora assume la vaghe apparenze di una gastronomia, dato che tutte le superfici disponibili traboccano di cibi appena preparati.
Ovvio: se qualcuno si ricorda di riempire il frigo.
Ovvio, ma non scontato.

I corridoi di legno chiaro sono le zone di passaggio, e, a seconda dell’umore e del posto a cui è diretto il soggetto, possono aumentare esponenzialmente la rabbia o farla scemare con altrettanta rapidità.

Sono le stanze, quelle che sembrano essere fatte ad personam.

Se cercate Bill, probabilmente lo troverete nella sua torre-studio, in cui canta e prova da solo svariate ore al giorno. A seconda del momento, i suoi occhi castani cerchiati di kol potrebbero fulminarvi o indurvi irrazionalmente a sorridere, mentre le cuffie enormi e il capellino in stile mililtare lo rendono stranamente simile a un qualsiasi diciottenne mingherlino.

Se invece avete bisogno di Tom, potreste trovarlo buttato sul kilometrico divano della sala di registrazione, con in mano una delle sue venticinque gibson, tutto preso a strimpellare cover o nuovi pezzi. Se lo si interpella tende a rispondere a monosillabi, finchè non si riesce a riscuotere del tutto la sua attenzione.

Georg normalmente è quello che meno si rintana in siti particolari: nonostante ciò, la sua camera è il suo santuario. A seconda di chi siete, potrebbe spegnere la musica del suo impianto stereo e smettere di provare “Stop crying your heart out” per farvi caso, mandarvi a quel paese o, nel caso di Christa, sorridervi.

Gustav è l’orso, invece. Controllate di avere un buon motivo per disturbarlo, perchè se sta provando un pezzo con la batteria nella grandissima “sala strumenti”, odia che gli si chieda di distrarsi per problemi stupidi. Siate gentili quando lo beccate in questi momenti. Il solo fatto che risponda con uno sbuffo ai tentativi della madre { essere riverito e glorificato da Gustav } di trovarlo, vi può dimostrare sopra chi è disposto a passare pur di continuare a suonare.

Ma tutti, e sottolineo il tutti, senza eccezione, hanno come centro, punto di riferimento e perno della casa, lo studio di registrazione vero e proprio.

Quella stanza di cui tre pareti sono pitturate di bianco e insonorizzate al meglio, la quarta un’enorme vetrata rettangolare che dà sulla sala comandi dove, sul famoso divano di pelle, si trova spesso Tom.

Ogni singolo cavo della fredda e tecnologica sala prove è attorcigliato su almeno altri quattro. Ogni singolo cavo è lungo minimo un metro e mezzo e massimo quattro.

E ogni singolo cavo è collegato a lei.

La consolle. Quell’aggeggio grigio metallo, un’ammasso squadrato di tre metri e mezzo di larghezza per uno e trenta centimetri di profondità e uno e venti d’altezza.
Un’ammasso fatto di tasti, levette e spie dai più svariati colori, illuminato dalla luce azzurrognola emanata dai due schermi per pc che sovrastano il complesso.

Ma il complesso non si gestisce da solo, e, checchè ne dica Tom, non saprebbe neppure che levette sollevare per accenderlo. Potrebbe tranquillamene confondere il tasto del HSQ con quello dell’auto-distruzione.
E state pur certi che ogni consolle ne ha uno.

La consolle, regina tra la tecnologia di quella casa, era a sua volta gestita dalla più imprevedibile delle personalità.

Dorcas.

Laureata in scienze delle comunicazioni, master in tecnico del suono per concerti e per studio, quindici anni di studio della batteria alle spalle e una precisione chirurgica per quanto riguarda il perfetto montaggio e assemblaggio della stessa.

Una delirante hippy dalle stranissime influenze neumetal e post-reggae, che in quel momento, capelli bianchi raccolti in un chignon abnorme, occhi blu cupo strizzati per leggere meglio nella penombra e bocca dalle piccole labbra rosee serrata in un’espressione scazzata, sta facendo di tutto per non mettersi a gridare dall’isterismo.

-ma...

Il povero tasto del bass-out si vide pigiato con violenza non usuale nella scricciola.

-che...

La levetta del SPS venne regolata ad altezza cinque con uno scatto rapido dell’indice.

-scheisse...

Il lampeggiare dello schermo attirò lo sguardo della tecnico, che si strinse la lingua tra i denti per non gridare come un’ossessa.

-è questo?!

Ecco fatto. L’acuto con cui era stata pronunciata la ultima sillaba sarebbe bastato per richimare una mandria di bufali. Che sarebbero subito fuggiti vedendo il colorito livido sul viso della ragazza.
Con un’immane forza di volontà, cercò di tranquillizzarsi seguendo delle improbabili lezioni di yoga.
Che, da che mondo è mondo, non hanno mai funzionato in caso di necessità.

Passandosi insistentemente la mano sugli occhi, Dorcas cercò di non piangere lacrime amare all’idea di quello che sarebbe successo tra poco.
Perchè Gustav aveva suonato da schifo.
E già solo questo le faceva abbondantemente girare a un musicista rilassato, figuratevi a uno che l’ultime parole che gli avevano sentito dire quella sera erano “a quello che mi disturba lo squarto” prima di rinchiudersi nella sala strumenti.
E lei avrebbe dovuto chiamarlo per ingiungergli di riprovare per l’ennesima volta quel pezzo che proprio non ne voleva sapere di farsi suonare.

Con un sospiro stanco si appoggiò alla consolle, decidendo dargli cinque minuti. Era rinchiuso là da appena due ore, se lo avesse disturbato adesso lo avrebbe messo di malumore.

Si morse le labbra, osservando come il parquet chiaro dello studio contrastasse con i suoi stivaletti larghi e sformati di nero cuoio. Incrociò le braccia, osservando come il banco della sua pelle bianca facesse a pugni con la superficie tatuata.
Le sue braccia erano simmetriche, eppure, come gemelle, erano l’una l’opposto dell’altra.
Una, il ricordo del furore che possedeva.
L’altra, il lento passare di giorni perfettamente nella norma senza lasciare alcun segno sulla sua pelle pallida.

Stava temporeggiando. E autocommiserandosi.

Ma non aveva voglia di vederlo, neppure per quello. Da un paio di giorni era intrattabile, quando stava nella sua stessa stanza.

Dall’incidente delle fragole, vorrai dire.

Oh, no. Adesso, Dodò, non inizierai a farti pippe mantali.

Non avrei dovuto stargli così vicina. No, no, e no.
Avrei dovuto fare l’indifferente, come al solito.
Come se la sua vicinanza non mi toccasse minimamente.


Si girò sospirando affranta. Osservò per un momento l’intera consolle, concedendole uno sguardo affettuoso. Un sorriso distese le sue labbra, mentre con un gesto rapido dette al play.
A uno dei molteplici tasti play, pardon.

Osservò come il grafico della canzone segnalava come picchi della batteria erano sospetti e assolutamente discordanti rispetto al basso, alla chitarra e al vocalist.
Si arrotolò una ciocca sull’indice, mordendosi le labbra disperata. Chiamarlo o non chiamarlo?

-ehi, ma che ti prende?!

Volse la testa di scatto, giusto in tempo per vedere la porta del bagno, posta di fronte a quella dello studio, sbattere.
Trishta {una delle tante truccatrici di Bill che sempre gironzolano per casa} la osservava scandalizzata mentre, mani ai fianchi ed enorme trusse nera dondolando nella mano destra, urlava contro la persona che era appena entrata.

-Gustav, bastava chiedere!

Nessun rumore da oltre la porta. Trishta si limitò a girare i tacchi ed andarsene, non prima di averla guardata e scrollato le rispalle in risposta allo sguardo interrogativo della tecnica.
Si rimise le cuffie cercando di salvare il salvabile e sperando che, forse, Gustav sia più malleabile quando esca da quel bagno.

È per quello che non avvertì un “cazzooo!” gridato con un sentimento che rasentava il dolore più puro e che, per fortuna, non risuonò abbastanza da distrarre i gemelli nel salone che beatamente guardavano la tivù.

.-.-.-.-.-.-.-.

Potrei anche lasciar perdere tutto. Che so, smettere di pensare.

Mi strofino gli occhi stanchi con le dita fasciate dalle protezione, avvertendo il ruvido contatto tra le strisce protettive e la mia pelle.
Sospiro mentre, mani sulle ginocchia, osservo torvo la batteria di fronte a me.

Oh, ma non mentiamoci.

Smettere di pensarci.
Smettere di pensarla.
Smettere... Di vivere?


Con un verso di rabbia mi alzo di scatto, facendo quasi cadere lo gabello. Mi allontano a piccoli passi dalla batteria, arrivo alla parete, ove tutte le gibson di Tom giacciono, e mi ci appoggio pesantemente di spalle. Osservo torvo il riflesso della luce bianca nel legno lucidato della grancassa, mentre la pelle accaldata della schiena sembra aver ritrovato un minimo di pace nel freddo contatto con la parete. L’aria condizionata non sembra avere effetto, qui a a Hamburg. Non nella gigantesca sala degli strumenti, per lo meno.
Non quando penso a lei.

-devo chiuderla qui.

Pesto un piede per terra, producendo un rumore secco con la suola, e trovando un minimo di soddisfazone del dolore sordo che si ripercuote tutta la mia gamba.

{ Perchè, è mai iniziata? }

E dopo questo brillante intervento, credo che si possa definire il mio nervosismo come una grande, immensa ed inutile pippa.
Sospiro ancora, chiudendo gli occhi. Un mal di testa mi sta martellando le tempie, e l’unica cosa che posso fare sembra pensare, pensare. Pensare talmente tanto da sentirmi irrequieto e pregare che tutto questo finisca o per lo meno sbocchi in qualcosa.

Vorrei cercare di capire come è iniziato tutto.

-non credere di imbaccuccarmi, sottospecie di yoghi.
Era così bassa che perfino io le staccavo cinque centimetri. Ma in fatto di lingua lunga, poteva fare tranquillamente a gara con Bill.
Di fatti la vinse, quella gara. Riuscì a fare in modo da prendersi quasi una sedia in testa. Ovviamente lei non rimase con le mani in mano: Bill rischiò di diventare davvero una ragazza, quel giorno.


E una smorfia nasce spontanea, al ricordo. È così tipico nel suo carattere. Essere così... destabilizzante.
Con quell’enorme tatuaggio sul braccio, quel groviglio di spine, tantissime spine, e fiori dai colori vividi. Dal polso alla spalla, senza risparmiare un centimetro di pelle, incastrando perfino parole e simboli, tra quelle foglie.
Non portò scompiglio. Lei era lo scompiglio, punto e basta. Uno dei migliori tecnici che potessimo trovare, preparata e determinata, diretta e capace.
Ma con una vena di puro auto-lesionismo.

-Dodò, ti devi svegliare tra tre ore. Hai già fatto tutto il possibile, perchè non dormi?
-lascia pedere. Non ho ottimizzato le basi di “1000 meere”. Noti? Si sente un fruscio nell’ultimo minuto.
E quelle occhiaie violacee sotto gli occhi, le labbra pallide per il poco sonno e i muscoli contratti per l’adrenalina.


Pretendeva che tutti fossero più felici di lei. Faceva in modo che lo fossero. A costo di caricarsi del loro lavoro.

-sei proprio sicuro? Perchè non ti prendi cinque minuti?
Poggio le bacchette sul divano, mi alzo dallo sgabello.
Sono distrutto, e Dar Letzte Tag non ne vuol proprio sapere di seguire il mio ritmo.
-perchè David mi uccide.
La osservo sorridere un secondo. Volgo gli occhi disperato alla batteria, e mi scopro assolutamente esausto alla sola idea di suonarla ancora.
-ti copro io.
L’osservo scettico. Un semplice occhiolino mi fa capire che lo farebbe sul serio. Mi alzo, recupero una felpa, le passo affianco salutando la batteria con un ultimo bacio aereo.
-allora... dov’è il batterista?
Si limita ad osservare la parete di fronte a se, ma un sorriso obliquo le distende le labbra.
-quale batterista?


Mi strofino le tempie con un gesto nervoso, mentre un gemito esce dalle mie labbra. Non è possibile. Non è possibile che tra mille di ragazze, sia lei quella che mi faccia impazzire.
Di rabbia, ovvio.

Da quando in qua, in generale, Dorcas ti fa impazzire?

E con un gemito sconsolato, mi rendo conto che non potrei vederla, non adesso, senza evitare di mangiarmela con gli occhi.
Non sopporterei la vista della sua gonna ondeggiante, dai mille pizzi e Dio-sa-solo-quanti strati di tessuto, che, con un ritmo a me del tutto segreto, ballano sui suoi fianchi.
Mi mordo le labbra, irrequieto. E spaventato.
Parecchio.
Perchè non mi era mai successo prima. Non con lei. Non per lei.

Testa tra le ginocchia, fonoschiena per terra e il cuore pompando sangue a mille.
Non so se darmi per primo dell’imbecille, dell’invasato o dell’illuso.

{ammettilo} sghignazza perversa la mia coscienza {la vuoi. Adesso. Perchè dopo quelle fragole ti sei sentito sconvolgere. E ti sei chiesto perchè non l’avessi mai notata prima.}

Stringo forte i denti e inizio a combattere una dura guerra con il mio autocontrollo.

{e ti fai paura. Perchè tutto confuso, e a te la confusione non è mai piaciuta. Vuoi le cose al suo posto, le pretendi sempre in ordine. Non chiedi troppo. Solo il controllo assoluto della tua vita.} sento la mia coscienza ridere, aggirarsi indifferente tra le mie emozioni e le mie paure. {Gustav, ti ha fregato. Rinunciaci, il tempo dell’equilibrio è finito.}

Oh, merda. Sento uno strano ibrido di rabbia, paura, emozione ed eccitazione montarmi dentro. Vorrei soffocarlo come si fa con un’incendio. Ma mi rendo conto che mi farebbe più male che lasciarlo libero di devastarmi il karma interno, come quel bastardo sta facendo.
Però non posso neppure andare di là e affogare, bocca, corpo e tutto il resto, nell’asprigno sapore di lacrime di quella ragazza.
Non si può ripulire con un braccio un’immaginaria scrivania di relazioni passate, un trauma che l’ha fatta finita con il suo polso sinistro, un’amicizia che va avanti da tre anni, per poi sbattercela sopra con l’altro ed amarla, e che cacchio.

Ridacchio all’idea, per poi mordermi le labbra con forza. Perchè non mi fa affatto bene immaginarmela con quel sorrisino saputello e infingardo, mentre gli occhi blu cupo lanciano devastanti sguardi di pura ilarità.

Mi rialzo di scatto, rendendomi conto che la situazione richiede un freno.

{molti freni, vorrai dire.}

Abbandono la stanza a grandi falcate, sbatto la porta insonorizzata quando la chiudo dietro di me, breve puntata al frigo della cucina per recuperare una vaschetta di ghiaccio e poi destinazione finale, bagno. E ringrazio che sia a pochi passi dallo studio, perchè vedere Dorcas arrotolarsi una ciocca di capelli sul dito mentre osservava qualcosa allo schermo pc della consolle, mi ha dato il colpo definitivo.

Sbatto la porta in faccia ad un scioccata truccatrice {una delle tante al perenne seguito di Bill} con tanto di trusse in mano, chiudo a chiave rapidamente e mi accascio, distrutto, sulla superficie lignea.
Sospiro per farmi coraggio, perchè so che mi duolerà parecchio.

{ricordati quella labbra appena carnose, quel contrasto con i piercing argentati. Il fatto che il tatuaggio sul braccio le copra parte del seno sinistro, ed il fatto che tu, per puro errore e per la mania di Dorcas di cambiarsi a porte socchiuse, l’abbia visto in tutto il suo splendore. Pensa, Gustav, pensa.}

Slaccio il bottone dei pantaloni con una mano, mentre nell’altra ho pronti vari cubetti di ghiaccio. Sospiro.

Cristo santo, che dolore.

.-.-.-.-.-.-.

Guardo distratamente lo schermo del pc di fronte a me le cuffie in mano e il cuore diviso tra una solenne incazzatura per il fatto che dovrò risuonare quel pezzo e uno smisurato senso di colpa per quello che mi ha costretto a fare poco fa in bagno.
Quel ghiaccio è molto più doloroso di un silicio io-so-dove.
Avverto la sua irrequieta presenza al mio fianco, e vorrei che sparisse. Ho sempre fatto il bravo bambino, mai che una volta succedesse una grazia.

-Sai che cosa avresti potuto fare?

Sbuffo, falsamente scocciato. In realtà ho il fottuto timore che lei mi legga nel pensiero. Mi giro verso di lei e l’osservo, lei che è così vicina, lei che oggi sembra voler giocare a tutti i costi con i suoi piercing. Socchiudo gli occhi, quasi ad attutire l’effetto che la sua vicinanza ha su di me.
Dodò inarca un sopracciglio arrabbiata, mentre noto che le sue nocche sbiancano, tanto è la forza con cui stringe le cuffie.
Le sue labbra sono esageratamente rosse e sottili, oggi. E la piega dura che mi riserva da due giorni a questa parte non aiuta. Non adesso, che sono appena uscito da quel maledetto bagno.
Ancora mi fa male, figurarsi.
Anzi, meglio non figurarselo affatto.

-avresti-potuto-chiamarmi, gran pezzo d’orgoglioso quale sei.

La guardo fisso negli occhi {per non guardare da nessun’altra parte}, corrugo le sopracciglia, schiocco la lingua. Lei con un gesto secco si poggia le mani sui fianchi, mentre il filo delle cuffie sbatacchia contro la sua gamba. La mia attenzione viene irrimediabilmente attirata dal fatto che se qual cavo ha sbatacchiato su una superfice che ha potuto permettere il diffondersi di un suono secco, obbligatoriamente oggi deve portare una gonna più corta del solito. Il cavo non è una liana, eh.
Inconscentemente, osservo che gonna porta oggi. Rossa e blu, tutta tulle e sfumature violette. Che lasciano intravedere le gambe fin dove decenza permette. Ovviamente gli stivaletti di pelle nera, per mia immensa distrazione, lasciano all’aria i polpacci, decorati con tanto di tatuaggio tribale.

Risalgo lentamente con lo sguardo fino ad incontrare i suoi occhi, che non sembrano essersi spostati di un millimetro dai miei. Arrossisco, innervosito dal fatto che non ho potuto controllarmi. Una piccola fitta di rabbia allo stomaco mi indica che la pazienza è agli sgoccioli, mentre la parte cretina del mio cevello prende il sopravvento.
I suoi occhi mi stanno scrutando dentro, e di fronte a lei mi sento leggermente malissimo.
Schifoso.
La sento intromettersi nel mio spazio privato, anche se forse non se ne rende conto. Stringo le labbra in una linea severa, decidendo giocare d’attacco. Finisco l’esame sfacciatamente, sollevando un sopracciglio dubbioso con tutta l’aria di volerle sbattere in accia un bel “si, guardavo. Problemi?”. Cristo santo, sembro un adolescente idiota. Ovviamente lei, flemmatica e scrutatrice in una maniera odiosa, si limita ad appoggiarsi alla consolle ed a incrocire le braccia.

-Gustav, ti vedo distratto...

Non sorride, e tutto mi sembra meno che disposta per uno scherzo. Non sembra avere voglia di giocare, strano. Lei che sempre provoca, oggi non ne ha voglia?
Mi sento ferito, ecco. Nel mio più cazzoso ego virile.
Ormai oscilliamo tra un attacco di coglionaggine infantile e uno di coglionaggine adolescenziale, e se non mi sbrigo inizierò a farle pernacchie. Me lo sento, la mia età mentale regrede di pari passo con il scemarsi del mio autocontrollo.
Georg e Bill li abbiamo superati, sto per contendermi la palma d’oro con Tom.

Scuote una manina inanellata di fronte ai miei occhi distratti mentre, sopracciglio inarcato, sembra determinata a farmi tornare alla realtà a suon di gesti equivoci.

-che ne dici di tornare a provare, eh?

Lancio praticamente le cuffie sul piano di manovre della consolle, mentre sbuffo nervoso.
Mi osserva stupita, e io mi sento ancora più stupido.

-non ne ho voglia.
-cosa?

Mi osserva sinceramente stupita.
Incrocio le braccia.

-hai bisogno che te lo ripeta più lentamente...? che so, vuoi che applichi lo stesso metodo di insegnamento riservato per Bill?

Imita il suono di una risata, mentre storce il naso in un’espressione scocciata.

-Ah. Ah. Ah. Ma che simpatici siamo oggi.

Ricalco pesantemente il suo tono ironico.

-ma davvero? Lo stesso penso io.

Incrocia le braccia sua volta, mentre indica la batteria dall’altro lato del vetro con la testa.

-ok, Gustav, sei di malumore. Quindi non rompere e vai a ripetere quel pezzo.

Fingo platealmente di pensarci, per poi rispondere con un secco rifiuto.
Mi osserva con il sopracciglio inarcato e la bocca piegata in una smorfia di disgusto, gesticolando furiosa.

-senti, belloccio. Non ho molta voglia di stare qui a discutere: la mia giornata finirà tra un’eterno quarto d’ora e in quel lasso di tempo il singolo dev’essere pronto. Non rompere, manchi solo tu.

Decido di disconnettere la parte saggia della mi testa, mentre la bocca dello stomaco esulta all’idea di tutta la bile che sfogherò in questa discussione.

-è un’indiretta per dirmi che non sopporti più la mia compagnia, Dorcas?

Si strofina la tempia con una mano, mentre con l’altra appoggia delicatamente le cuffie sul pc.

-tanto indiretta non mi sembra, Schäfer.

Raddrizzo le spalle, stringo ancora piu forte le braccia.

-e allora perchè continui a sopportarmi, Schröder?

Mi osserva un poco dubbiosa, nemmeno fossi vestito di giallo canarino.

-uhm... punto primo- li elenca con le dita, come se li stesse spiegndo ad un bambino idiota. –mi pagano oscenamente bene. Punto secondo, sai anche tu perchè. Non c’è ragione di spiegartelo ancora.

Inarco un sopracciglio, platealmente sorpreso.

-quindi rimani solo per denaro, Schröder?

Boccheggia un momento, scolla le spalle.

-ma certo che no! C’è tanto altro...

Le sue guance si tingono un momento di rosa. Sospetterei che c’è sotto qualcosa. E vorrei sapere cosa, dato che sta facendo arrossire Dorcas Schröder, l’invincibile e intoccabile.

-che cosa?

Il colore sparisce tanto rapidamente come è venuto, mentre la braccia tornano a incrociarsi sopra il suo petto in posizione difensiva. Osservo come solleva di nuovo la guardia, osservandomi con aria truce.

-cazzi che non ti riguardano, Schäfer. Perchè non vai di lì e suoni quella benedetta batteria, così la facciamo finita?

L’osservo ancora, e la parte più infantile di me decide che la vuole vedere esplodere. Che non avrà soddisfazione finchè non si sarà vendicata.

{ti devi vendicare di cosa, esattamente?}
Non lo so, pero lo devo fare.
{quante volte ti sei dato del coglione, negli ultimi cinque minuti?}
Troppe.
{ok, aggiungine un’altra, a questa interminabile lista.}


-e perchè non lo fai tu, Dorcas...?

Mi osserva ancora più truce, gli occhi socchiusi e le mani sui fianchi.

-lo sai, il perchè.

Sorrido obliquo. Cattivo. Sto per diventare molto, ma molto cattivo.
Assolutamente stronzo. E decido, con un giubilo inaspettato da parte della mia frustrazione, di staccare il filtro tra la bocca e il cervello, disconnettere il cervello stesso e, soprattutto, dare libero sfogo alla mia vena cinica. Che degrada nell’acido più puro.

-ah, giusto, scusa. Mi dimentico che parlo con una che si è distrutta il braccio per il troppo provare.

Spalanca gli occhi, colpita.
Ma non affondata, a giudicare di quelle sopracciglia crucciate.

-non parlare di cose di cui non sai un cazzo, Gustav.

Altro sorrisino condiscendente da parte mia.

-oh, ma almeno non sono io quello che non può più suonare, tra noi due.

Scioglie le braccia per tenderle lungo i fianchi, mentre le mani si stringono in pugni e le nocche sbiancano.

-non sono io quella che vive una vita di plastica, per lo meno.

Ok, l’ammetterò: questa non me l’aspettavo. È pronta a dare battaglia? Meglio, più pepato il gioco.

-io non sono quello che non sa fare il proprio lavoro. Perchè ti assicuro- indico distratto la consolle –che io la batteria l’ho suonata perfettamente. Sicura di aver controllato i cavi, cara?

Naturalmente mento. Lei è una dea della teconlogia, mette in scacco i grandi del dipartimento federale di scienze delle comunicazioni con un pentium ’99.

Pesta un piede per terra, mentre con la mano elenca i cavi e il loro controlli.

-DSL? C’era. TSL? C’era. SSL? C’era. GSD? C’era. Non rompermi il cazzo, Gustav. Tu hai sbagliato e non devi sfogare su di me la tua frustrazione se qualcuna non te l’ha data.

Stringo le labbra in una linea priva di colore, mentre il mare di rabbia che mi sta montando dentro assume una nuova sfumatura.
Il sadismo.

-così perfettina da avere un quasi esaurimento nervoso? Così tesa da fotterti un polso –il sinistro-? Così distratta da non renderti conto di stare facendo la mia stessa vita? Così odiosa da rendermi la vita impossibile? Cristo, come te nessuno mai.

Si avvicina a me di un passo, mentre con un’occhiata gelida cerca di fulminarmi. Indica il mio petto con un indice guerrigliero, mentre la bocca è contratta in un’espressione furiosa. Sento il sangue pomparmi nelle vene ad una velocità assurda, mentre l’adrenalina e l’eccitazione mi strappano brividi dal fondo dello stomaco. Ascolto come musica l’affannarsi del suo respiro.

-se non ti piaccio, non m’interessa. Se non sai farti cazzi tuoi, neppure. Ma ti ripeto per l’ultima volta: n o n d i r e c o s e d i c u i n o n s a i u n CAZZO!

All’ultima parola mi spinge indietro, cercando di allontanarmi da se stessa.

Per poi scoppiare, definitivamente.

-VAFFANCULO, GUSTAV!

Riesco a non cadere perchè mi appoggio alla consolle, mentre il suo grido sembra risucchiare per un momento tutta l’aria presente nella stanza, e forse dell’intera casa, per poi farla scoppiare ad ogni signola sillaba di quelle due parole.
Osservo come le mani sono serrate a pugno, e credo che si sta trattenedo dal tirarmene uno in pieno naso.

Avverto distrattamente uno scalpiccio di passi nel corridoio, che sembrano avere tutta l’intenzione di dirigersi verso di noi. Non bado al fatto che le teste di Bill e Tom si sono affacciate dalla porta, per osservare la sfuriata di Dorcas.
Ogni parola rasenta il disprezzo più puro, intridendo di rabbia gelida ogni singola sillaba pronunciata con una voce che, pur essendo bassa, si potrebbe udire in tutta la casa.

-vaffanculo, Schäfer. Sono io tra noi due, che si è fatta un fottutissimo abitur in scienze pure, sono io quella che si è passata quattro fottuttissimi anni d’università in ingenieria delle telecomunicazioni, sono io quella che sa come smontare e rimontare una batteria a occhi chiusi, sistemare i microfoni come se fossero banali posate.- prende un momento fiato, mentre i suoi occhi blu sono socchiusi e i suoi capelli sono in piena tempesta elettrica. -Sono io il cazzo di tecnico del suono qua, e tu, batterista dei Tokio Hotel dalle uova d’oro, non ti devi permettere di criticare il cazzo di lavoro per il quale IO mi rompo il culo!
-e allora perchè continui a trattarmi con condiscendenza?

Bill e Tom si guardano allucinati, mentre noto che anche Georg e Christa sembrano essersi aggiunti alla platea.

La vedo sospirare, tremante di rabbia, del tutto ignara del pubblico che l’osserva con stupito. Stringe spasmodicamente le dita della mano sinistra, impiegando tutto il suo auto controllo per non picchiarmi o non gridare.

-io ti tratto come và trattata una star orgogliosa di ventun’anni che non ha capito un fottuttissimo cazzo della vita, come ha appena dimostrato con il suo abnorme tatto. Una star che vuole fare i capricci, per giunta!

Stringo gli occhi, incrocio per l’ennesima volta le braccia, inclino la testa verso sinistra e batto un piede per terra.

{sei il più gran esempio di perfetto coglione insensibile che si trovi sulla faccia della terra.}
Grazie.


-suono una batteria da diciannove anni, Dorcas!

Emette un gemito strozzato, dà un’altro passo verso di me, scuote la testa e inizia a indicarsi con il suo stesso indice mentre, parola dopo parola, racconta il suo “grande segreto”.

-e io sono quella che ci ha perduto l’uso del polso sinistro per un manager coglione, io mi ci sono laureata e ci ha sudato sangue ogni santo giorno di lunghi anni, e ho fatto cose che tu non hai mai fatto, Schäfer, conservando, apri bene le orecchie, la mia vita sociale!

Tace, ansima. Non sa più cosa dire, mente io si. Ho in mano la carta vincente e, quella parte ancora intelligente e adesso ignorata del mio cervello mi grida, prima di cessare del tutto ad opera del mio Mr.Hide personale, di non farlo. Di non tradirla, non dirlo, non di fronte a quel pubblico improvvisato di cui lei ignora l’esistenza. Quasi mi vine il rimorso.
Ma con un ultimo ruggito da parte del mio stomaco, la sputo, con il tono più acido che mi vengo a disposizione. L’ultima verità, il segreto segretissimo che neppure lei sapeva che sapessi. Il modo perfetto per fottere un’amicizia di tre anni, distruggere la sua fiducia per me, allontanarla e ferirla. Forse per sempre.

Mi avvicino di un passo a lei, molleggiato. Le labbra contratte in una linea severa, le braccia incrociate sul petto.

-tanto da tentare il suicidio ai tredici, ovvio.

Sento tre bocche trattenere il respiro. Due non lo fanno.
Una di quelle è Christa, che ci osserva con occhi tristi e una smorfia amara sulle labbra. Già sapeva. L’altra è Dorcas, ma solo perchè boccheggia. E ad ogni boccata d’aria la rabbia più pura sembra sostituirsi allo stupore.
Mi osserva per un lungo minuto, quasi a chiedersi se fossi veramente io, quello che le ha detto questo. Lo stesso che rideva con lei quattro giorni fà. Osservo la sua bocca chiudersi e aprirsi un paio di volte, senza emettere alcun suono. Poi, il cambio repentino.
Socchiude gli occhi, stringe le labbra in una linea sottile in cui gli unici tocchi di colore sono i due piercing. Aspira aria col naso, contrae la mascella.

E senza rendermene conto, è un pugno ad opera del suo braccio sinistro, quello che mi fà voltare la faccia di centosessanta gradi.

Mi sento la guancia intorpidita. La tocco cautamente con la punta delle dita, osservando che tra poco inizierà a pulsarmi, e che mi farà un male cane.
E sulla punta delle dita, avverto il calore appiccicoso del sangue. Il mio.

Giro lentamente la testa. E mentre osservo come si stia tenendo il polso con la mano destra, realizzo, inorridito, che tutto quello l’ho causato io. Sui suoi anelli riluccica un poco del mio sangue, mentre quel luccicare negli occhi sono lacrime represse.
E come un’ondata travolgente, la mia parte logica riprende possesso della situazione tramortendomi e allo stesso tempo chiarendomi la situazione.

{Gustav, sei un’infimo bastardo. Della peggior specie, soprattutto.}

Lascio perdere la mia guancia, mentre tendo le mani di fronte a me. Sto per iniziare a chiedere precipitosamente scusa, se non fosse per l’immutarsi della sua smorfia e il bloccare la mia fiumana di parole con un gesto secco della sua mano. Osservo come il polso sinistro trema. Gli sforzi eccessivi presupongono un’attacco, sempre.

-non una parola in più. Il mio turno è finito.

Mi scocca un’ultima occhiata di disgusto, mentre supera con passo di marcia e indifferenza gli altri assiepati al uscio della porta.
La vedo correrre lungo il corridoio, e se non fosse per il fatto che è impossibile, quell’ultimo rumore lo riterrei un singhiozzo.
Christa non la segue. Si limita a volgere lo sguardo e ad osservarmi con un’aria di compatimento. Con un verso di rabbia, esco anch’io della sala di registrazione a passo di marcia.

E dopo quattro ore rinchiuso nella sala strumenti a suonare con la mia batteria, posso assicurare che il dolore alle spalle non è niente paragonato a quello un poco più a nord e a sinistra del centro del petto.
E posso affirmare anche che adesso, in sala prove, c’è bisogno di una batteria nuova.

{Coglione.}

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

Quarto chap, fuori! *_______*

Ho adorato scriverlo, lo ammetto. Ho sghignazzato come una sadica nel pezzo di Gustav, e poer chi non l’avesse capito, esiste l’off topic.

In più ho scoperto la mia allarmante tendenza a rimuginare per giorni e giorni, e in una notte, nell’arco di poche ore, a buttar giù il copione. Mi faccio paura. XD di fatti, approfitterò e studierò, dopo aver postato.

In enorme ritardo, tra l’altro. Lo so, e chiedo venia. Ma questo chap doveva essere il punto di partenza per un chiaro evolversi della ff, in parole povere, non doveva sembrare un’harmony o una versione tokiohotellosa di “bìutifùll”. Insomma: voi non immaginate a quanta gente ho rotto i così-detti per avere aiuto.

Quindi dedichiamo un sonoro grazie a Lales e Marty, a cui va tutta la grande dedica di questa ff. {come se fosse chissà che.}

XD
 
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Lales
CAT_IMG Posted on 23/5/2008, 08:48




Bene, per prima cosa, G r a z i e. Grazie per la dedica, e non preoccuparti, ogni volta che avrai delle crisi di composizione io ci sarò sempre, sai che parlare con te non mi stanca mai.
Ora mia cara te tocca, recensione, stavolta tocca a me farti brillare gli occhietti.

Per prima cosa, c'è una vera e propria evoluzione dai primi capitoli, anche e soprattutto nel modo di scrivere. Diciamo che all'inizio l'uso di tutte quelle indirette intrippava un pò la storia, passami il termine XD.

Dopodichè, passiamo alla mia croce e delizia. Diavolo e acqua santa, Dodo e Gustav, e stai certa che l'acqua santa non è sicuramente il caro drummer.
Lei è assolutamente b r i l l a n t e, perfetta, indecisa al punto giusto e assolutamente da ammirare [solo per il fatto di sopportare il pacchetto all inclusive TH+staff].
Caparbia, precisa e.. Elli si vede, innamorata persa. Si perchè lei ama lui e lui ama lei e tu sei troppo cattiva per rendere la storia smielosa a zuccherosissima, come è giusto che sia ovviamente, basta co' ste' storie alla DeepGreen XD XD XD. A parte le battute idiote della sottoscritta, che vorrebbe un amore folle consumarsi su questi schermi, mi rendo conto che la storia sta procedendo con un filo logico assolutamente eccezionale. E' coerente, preciso e veritiero. Gustav però, rimane un coglione. Ebbene si, il cucciolo orsacchiottoso non ne sta combinando una giusta, eccetto essersi reso conto di Dorcas, per il resto il buio più totale. Cosa frulla nella sua testolina? Perchè tutto impedisce ai due di comprendere che si,cazzus,devono (o dovrebbero) stare insieme. So già la risposta caVa, la so già e Ich rosicaren.

Un'altra cosa che ho adorato di Dodo, è il fatto che la descrivi come una bambolina, piccola, richiudibile, un pò una PollyPocket con la forza funesta di una tempesta. Eccezionale.

Mi impegnerò affinchè questa FF venga letta da più persone, non si possono perdere questo piccolo frammento di genialità. Io la a d o r o. Adoro, sisi.

Dopo il papiro, me si ritira.
Besos
 
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Marty..*
CAT_IMG Posted on 23/5/2008, 09:22




Allora. Una volta, mentre mi tenevi caritatevolmente compagnia durante uno dei miei infiniti turni di lavoro (grazie a dio quasi finiti), mi hai detto che tu sei brava a scrivere recensioni, ma non fan fiction, e che lo scarso successo di "Falling in love is wrong" lo dimostrava. Al che io, mio malgrado, ho dovuto ammettere che non l'avevo letta: tu, da modesta che sei, mi hai risposto che non mi perdevo niente e che non ero obbligata a farlo. Poi, qualche giorno dopo mi hai chiesto aiuto per la tanto difficoltosa scena di rabbia che non riuscivi a scrivere senza rischiare di ottenere l'"effetto Tempesta d'Amore". Non credo di esserti stata tanto d'aiuto, ma ti ringrazio per averlo fatto! Così come, ovviamente, ti ringrazio per la dedica!
Comunque, cara Ele, io al contrario di te non sono brava con le recensioni, quindi non aspettarti grandi cose, ma almeno provo a dirti quello che penso di quello che ho letto (perchè l'ho fatto, finalmente): tu, sweetEllis, hai tutto. Hai l'ironia, hai lo stile, hai il dono di regalare immagini concrete come pochi sanno fare. Il primo pezzo del capitolo è geniale: secondo me si avvicina pure alla realtà! Dorcas è un personaggio etereo, ma allo stesso tempo forte e deciso, con una personalità tanto forte da piegare chiunque (e il pugno a Gugu lo dimostra eccome!).
La scena incriminata, poi: lasciatelo dire, è perfetta! Descritta benissimo, con la giusta dose di suspence e tensione ("oddio, Gustav, che stro**o, e adesso Dodò che farà?"), mi sembrava di essere lì, una mosca piccola piccola, sulla spalla di Gustav.. E infatti sono volata via, quando è arrivato il pugno! XD
Insomma, Ele, hai guadagnato una nuova umile lettrice.
E sappi che hai tutta la mia ammirazione.
Continua così...
 
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chocol@t
CAT_IMG Posted on 23/5/2008, 16:52




Siccome è rinomato che io non ho una mazza da fare mi sono decisa a leggere....
In realtà avrei da studiare tutti i teoremi di geormetria dello spazio ma, lasciatelo dire, è molto più interessante leggere questa storia che studiare matematica...

Che dire, penso che mai consiglio della Lalù sia stato più azzecato (Lalù grazie di essere molto stile angelo custode), oggi sono tornata a casina e ho letto la sua frase nella tag....

Ero rimasta affascinata da tutto quello che avevi scritto nel forum (della serie alla fine ero a bocca aperta e mi semtivo pure molto cretina a cuasa della mia espressione a cernia lessa!!!!) ma non avevo mai avuto tempo di leggere questa storia. E chiedo umilmente perdono in tutte le lingue che so (cioè poche!!!!) perchè è semplicemente stupenda.

è stupenda perchè i personaggi sono costruiti con un'abilità che lascia veramente sconvolti, sono vividi e rimangono impressi, sono così caratterizzati che risultano unici nel loro essere quello che sono. Bill, Tom, Georg, Christa sono descritti sapientemente e con un'accuratezza nei particolari che è ineccepibile. E poi ci sono loro: Gustav e Dorcas. Non so come ti sia venuto in mente il nome Dorcas, meriteresti un monumento solo per questo. Non dico niente su di loro per due motivi: primo, hanno già detto molte cose e rischierei di essere ripetitiva e prolissa, secondo, tutto quello che potrei aggiungere sarebbe superfluo perchè si spiegano benissimo da soli.

La storia è quanto mai piacevole da leggere e scorre perfettamente nel suo susseguirsi di immagini così naturali che smebra di viverle in prima persona. Non è un caso che l'abbia finito nel giro di due ore scarse in cui ho, se pure per circa tre nanosecondi, studiato anche il teorema delle tre parallele (assolutamente inutile per altro!!!!), e non è nemmeno un caso che il gelato che stavo mangiando mentre leggevo si sia sciolto inesorabilmente dentro la coppetta (e credimi per far sciogliere il gelato a me ci vuole veramente molto!!!!! Il gelato è sacro ed è un'eresia sprecarlo!!!!!!).

Devo ammettere che non sono molto brava con le recensioni, più che ad una recensione le mie somigliano ad un'accozzaglia informe di parole messe lì a caso. Spero si sa capito vagamente il senso di quello che volevo dire, se poi non si è capito una mazza credo che assumerò un'interprete perchè il mio livello del "non farmi capire dagli altri" sta arrivando a livelli inaccettabili.

Detto questo ti lascio anche perchè ho fatto un poema che non finisce più e ormai ti sarai beatamente addormentata sulla tastiera, e devo ammettere che adesso ho capito uan cosa in più, mai come ora mi sono resa conto di quanto una persona si possa sentire inutile e insignificante quando si trova davanti una cosa scritta così bene!!!!

Complimenti davvero!!!!!
 
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cho89
CAT_IMG Posted on 27/5/2008, 19:12




Ti prego non dirmi che è finita così ?????................

 
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.Jada.
CAT_IMG Posted on 2/6/2008, 16:12




Oh mio dio..ma è...è bellissima....*__*
 
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_Ellis_
CAT_IMG Posted on 5/6/2008, 02:30




A Lales, perchè c'è.
e ha capito Dorcas come nessuno mai.
Marty*, perchè è stata la mosquita perfetta.
A Chocol@t, perchè ha sopportato la mia iniziativa stramba.
E a tutte quelle con cui ho parlato in questi giorni. C'è un poco di voi, in questa ff.


Oddeoh, che melensa. No, Lales, mi stai deviando. Mi rovini l'acidità e l'ironia, Boss. *-*




Kennst du das?
Man lebt einen Traum
Und irgendwann wacht man auf
Einfach so…
{Niemand Hört Dich – Pan!k}



Salgo le scale che portano alla terrazza paronamica a due a due. Non vedo neppure che ho ormai finito i gradini, tanto sono furiosa. Infatti spicco un salto che mi fà capitombolare per terra con un gemito strozzato.
Di rabbia. Sento un peso di tonnellati pesarmi nella bocca dello stomaco, e l’unica cosa che vorrei sarebbe poter picchiare qualcuno.
Ma è troppo tardi. Le lacrime che erano intrappolate dalle ciglia, per il contraccolpo cadono. Mi tiro sù di botto, del tutto incurante che mi sono sbucciata il ginocchio e che le mani mi bruciano da impazzire. Le strofino ossessivamente, mentre con passi pesanti mi avvicino al parapetto.
Non singhiozzerò, io. Non io, non io che mi ero ripromessa non farlo mai più.
È una cosa che non sopporto.

-io non sono debole. Io non cedo ...MAI!

Mi aggrappo alla ringhiera del parapetto, stringendo forte fino a sentire il metallo compenetrarmi i palmi, farmi male, un dolore che mi riporta in vita. Voglio morire, ma cerco di tenermi viva con le unghie e con i denti.

Non provarci neppure. Non cedo, o lo farò troppo velocemente perchè tu mi possa vedere.

Abbasso la voce, e la mia gola brucia, dopo aver gridato. Ma non brucia tanto come il ricordo. Perchè se così fosse griderei fino a non poter più parlare, fino a non sentire. Fino a non poter staccare più la spina. Le lacrime scendono, portandosi via la matita, il mascara, il dolore. Cadono come macchie di colore sulla ringhiera di metallo un pò scrostata del terrazzo.

Stringo forte i denti. E qualcosa un poco più a nord dei polmoni raddoppia i suoi dolori. Mi sento morire, morire...
O forse sono già morta.
Forse sono morta tanto tempo fà.

{Niemand hört dich, niemand sieht dich!}

-prendi quella medicina, Dorcas.
-non voglio, Manager.
Un tapettino di appena dodici anni, in deragliamento contro l’adolescenza e un visibilissimo caschetto di capelli neri e ricci, aveva appena pestato i piedi.
Le sue labbra rosse prive di qualsivoglia piercing erano strette in un’espressione a metà tra lo stizzito e l’annoiato.
-Dorcas, smettila di fare i capricci. Il medico ha detto che hai bisogno di prendere questa aspirina. Hai la febbre, e non ti ci vogliamo alla première del gruppo con la febbre.
Un paio di irridenti occhi blu lo squadrarono.
-chi è che mi ha consigliato di provare otto ore al giorno?


-chi, chi, CHI?

La tecnica del gridare forse funziona. Mi sento gemere. Di dolore. Sono io questa? Ero io?

Singhiozzo. Finalmente lo faccio, e anche se non allevia, libera. Non so neppure da cosa. Ma mi sento ogni volta più distrutta. Così non potrò fare danni a nessuno, neppure a me stessa. Mi appoggio alla ringhiera di spalle, lasciandomi scivolare lentamente per terra, incurante di come il tetto scotti, sotto i raggi del sole ormai morente. Agosto a Berlino non è uno scherzo.

{Liegt sie im Bett und weint}

-non è uno scherzo, hai già in tasca la metà dei profitti della band!
-lo so che è stata fondata solo perchè c’ero io a suonare, ma...
-niente ma. Te li meriti.
Decido di starmi zitta. Non gli dirò mai che oggi Klein ha dato della stronza a mia madre, per essersi messa in tasca i miei diritti. In fondo lui solo è il cantante per la sua bella faccia.


Cantante per la sua bella faccia. A lui non chiedevano di provare, no.
Lui non aveva dei genitori assenti e una zia con una voglia matta di essere ricca. Lui non aveva...

-problemi, problemi.

Ripeto ossessivamente l’eco dei miei pensieri, perchè adesso in me non c’è spazio in nient’altro. Mi sento inutile. Inutile, vuota, sola. Ho l’eco di immenso dolore in ogni singolo nervo del mio corpo. E solo voglio gridare. E ansimare. Non voglio ricordare, voglio farmi a pezzi per non sentire gli strascichi di ricordi che hanno provocato i miei sbagli.
Mi prendo la testa tra le braccia, cercando di fuggire.

{ Die Welt bleibt stehn und ihr wird kalt,
Sie hat Angst zu versagen [...] }


-Dorcas, non mi starai montando questa sceneggiata solo perchè oggi hai provato
Nove ore! A tredici anni si può anche fare di più.
Osservo l’espressione seria del mio manager, mentre scuoto la testa. Da brava bambina quale sono gli mostro il polso sinistro, gonfio. E che, soprattutto, mi duole un casino.
-uhm... se fai da brava, potremmo provare a portarti da un medico. Ma devi provare ancora un poco, dai. Facciamo fino alle dieci.
-ma non può! Boss, non vedi in che condizioni è?!
Mi giro di scatto verso una figura che si affaccia alla porta dello studio. Alta, affatto carina. Troppo spigolosa e simile a un sacco di ossa, per poter sembrare qualcosa di più di una goffa ragazzina dai capelli neri e crespi.
-Christa, nessuno ti ha detto di mollare quel basso! Torna a suonare, adesso! Dorcas, anche tu.
-ma...
Faccio per rispondere io.
-tu niente. O devo riferire a tua zia?


E vaffanculo a chi si approfitta di te, chi ti tende trappole psicologiche. Vaffanculo zia, vaffanculo famiglia cara. Perchè non c’eravate, non mi avete fermato. Ero piccola e cretina, per me il successo era la chiave per farmi amare da qualcuno che non foste voi. Mia zia, delle fan.
Qualcuno che si ricordasse chi fossi io, e che non mi confrontasse con dei fratelli morti. Vaffanculo, vaffanculo.
Perchè c’ero e non mi vedevate, perchè gridavo e non mi sentivate. Battevo forte sopra una batteria, ma piuttosto che aiutarmi, mi davate ancora più ragioni per suonarla.
Era sfogarmi su una batteria per non piangere, era amare dei piatti perchè quel suono così metallico era così simile i miei sogni che si schiantavano contro la vostra indifferenza, da farmi piangere. Era pestare forte su una grancassa perchè il suo risuonare sembrava avere più effetto su di voi che le mie continue urla. Era picchiare dei tamburi perchè voi non c’eravate, e passavate indifferenti al mio fianco.
Era elemosinare un poco d’affetto attraverso l’amore che tutti voi, stronzi adulti che mi circondavate, nutrivate per il mio talento e non per me. Ho passato dodici anni della mia vita dietro ad una batteria, ma nessuno lo sapeva. Nessuno doveva saperlo, perchè ero la stella di lancio della Universal. Ancora prima dei Tokio Hotel, ancora prima dei quattro di Magdeburg, c’era il gruppo costruito in sala di registrazione a partire da una anonima batterista di Düsseldorf. Che con la batteria ci faceva cose che voi comuni mortali non avreste neppure potuto immaginare.

Mi passo le mani sulla faccia, strofinandomela forte. Non importa che siano macchiate di sangue, che brucino. L’importante è spandere queste lacrime che ho sul viso in maniera uniforme, che si trasformino patina opaca, che mi facciano da scudo e cortina dietro cui nascondere quel che resta di me, per l’ennesima volta.
Ma provo dolore, perchè sono lacrime ci saranno sempre, come i cocci taglienti di un sogno infranto.
Lacrime che ci saranno sempre, mi difenderanno e mi faranno male, una maschera che mi aiuterà a conservare la lucidità.
Come dopo la diagnosi, come dopo l’operazione, come dopo la fallita riabilitazione.

{Im Eissturm verklingt dein Hilfeschrei!
Niemand hört dich
Niemand sieht dich
Im Eissturm kämpfst du ganz allein
Jeder friert hier
Jeder verliert hier}


-avete fatto male a portarla così tardi. Questo è proprio un caso da tunnel carpale.
-che cos’è?
Chiesi io, dal lettino sul quale ero sdraiata. Il dottore non sorrise e i suoi baffi alla Bismarck mi facevano paura. Non mi rispose, ovviamente. Ma io avevo paura. A dodici anni e con un polso sinistro gonfio come una salsiccia putrida, avevo paura.
-è proprio così grave?
Il mio manager girava in circolo al centro della sala.
-dipende. Con un’operazione tempestiva e un periodo di riabilitazione...
-che cos’è un tunnel carpale?
-quanto intende, per un periodo di riabilitazione?
-CHE CAZZO Ê UN TUNNEL CARPALE?
Ero seduta sul lettino, adesso. E ansimavo. Perchè ero ignorata ancora una volta, ma se ci andava di mezzo me e la mia batteria, già non era più un fatto della Universal.
Finalmente il dottore mi degnò di uno sguardo. Indifferente, ma di quelli ero abituata a riceverne.
-La Sindrome del Tunnel Carpale è dovuta alla compressione del nervo mediano al polso nel suo passaggio attraverso il tunnel carpale. Il tunnel è un canale nel polso formato dalle ossa carpali sulle quali è teso il legamento traverso del carpo, un nastro fibroso che costituisce il tetto del tunnel stesso. La patogenesi occupazionale sembra essere la causa più frequente per lo sviluppo. E' stata dimostrata un' associazione con i lavori ripetitivi, sia in presenza che in assenza di applicazione di forza elevata. Nelle fasi iniziali della patologia la Sindrome si manifesta con formicolii, sensazione di intorpidimento o gonfiore alla mano, prevalenti alle prime tre dita della mano e in parte al quarto dito soprattutto al mattino e/o durante la notte; successivamente compare dolore irradiatesi anche all'avambraccio, sintomi definiti "irritativi". Se la patologia si aggrava compaiono perdita di sensibilità alle dita, perdita di forza della mano, atrofia.- si gira verso il manager.
-si può curare con un’intervento tempestivo e tre mesi di terapia.

Tre mesi?


E non era che l’inizio. Cosa puoi fare, quando di mettono spalle al muro e nessuno che abbia in mano il potere ti può aiutare?

{Sie redet nicht mehr,
weil niemand sie versteht
Ihre Hoffnung stirbt, weil der Winter nicht mehr geht}


-no, Dorcas, non lo fare.
-Christa, tu non capisci! Zia ha detto che mi viene a vedere, alle prossime prove!
-ma tre mesi non sono passati! Non puoi, il Doc lo ha proibito!
-me ne frego. È passato un mese e mi sento perfetta. A poi me lo ha chiesto zia.
-quella stronza che i mette in tasca più della metà dei tuoi profitti? Quella che ti fa un pat-pat solo perchè suoni come una pazza o ti dice un “non ti voglio più bene” perchè ti sei fottuta un polso? Eh, eh?
Mi trema il labbro.
-non dire cazzate, tu sei solo invidiosa! Zitta!
-ti prego, io...
-ZITTA!


-Dorcas, caVa?

Spalanco gli occhi spaventata, perchè la voce infantile della Christa dei miei ricordi si è sovrapposta per un momento a quella adulta della Christa presente, che, accovacciata di fronte a me, mi porge una felpa.

-che ne dici di coprirti, cara? Fa un poco di freddo.

La vedo osservarmi inclinando la testa, sorridendomi placida come solo lo è con me. Non mi muovo, non parlo. La osservo attraverso uno spesso strato di lacrime che non ne vogliono sapere di cadere. Sospira triste, mentre mi poggia la felpa sulle spalle. Sbatto gli occhi, e altre lacrime non possono fare altro che cadere, in una forsennata corsa con il tempo per misurare chi arriva prima.
Non preoccupatevi, c’è spazio per tutte.

Poggio la testa sulle ginocchia, mentre avverto la felpa riscaldarmi un pò. Sempre a labbra chiuse, la sento trafficare un poco. Poi un bruciore forte al ginocchio. Sollevo la testa di scatto, spaventata.

-ehi, tVamPfillaH.

Cosa? Ha una scatoletta di cerotti che le pende dall’angolo del labbra e, a tradimento, la bastarda, mi ha appena disinfettato la ferita al ginocchio di poco fa. Sembra quasi vedere il mio sopracciglio inarcato, perchè sputa la scatola per terra e si ripete, mentre mi sistema il cerotto con gesti calmi e dolci.

-tranquilla, piccola.

Allontana anche l’acool da se. Poi mi si avvicina un pò e apre le braccia.
La guardo dubbiosa, tirando su col naso. Sono patetica. Mi sento patetica, come una bambina stupida.

-vuoi distruggere la mia reputazione da vera dura?

La vedo sbuffare, occhi al cielo. Ma non accenna a chiudere le braccia. Sospiro.
Poi l’abbraccio anch’io di rimando, affogando nel suo fisico così femminile, formoso, solido e stabile. Le ho sempre detto che avrebbe potuto fare la scaricatrice di porto o la ballerina di can-can, con quel fisico tutto curve che si ritrovava. E lei mi ha sempre risposto che, con la fortuna che si ritrovava, sarebbe stata moglie del dio denaro. Perchè quando una possiede una bellezza commerciale e atipica come la sua, tutti ti vogliono per ciò che indossi.
Sospiro ancora, mentre la sento stringermi più forte. La felpa scivola via, e il suo profumo di pulito mi avvolge, come un gas narcotizzante. Mi lascio andare mollemente contro di lei, trovando un minimo di pace. Il ricordo di poco fa non smette di bruciare, ma è tutto più facile quando c’è qualcuno di cui ti fidi al tuo fianco.
E con Christa è come se mi sentssi tornare a casa. Come se ce l’avessi, una vera casa. Una casa che non sia un tourbus con una crew di un’ottantina di persone e quattro musicisti viziati e pazzi furiosi.
E non dimentichiamoci che del quarto sono innamorata, e ma va...

Non piango più, ma ho bisogno di ricordare. Per esorcizzare tutto quello che è passato. Ma che continua a vivermi dentro.

-ti ricordi dopo quelle prove, Christa?

La sento sospirare nei miei capelli. Lo prendo per un si.

-avevamo appena litigato, eppure tu mi avevi inizato a consolare lo stesso. Il polso mi pulsava in una maniera assurda, e non lo sentivo quasi più. Mi doleva come se me lo stessero tranciando, e quello che era peggio, è che mia zia non era neppure venuta. E il manager mi guardava scuotendo il capo.
-e il giorno dopo...
-era finita.

Mi avevano spezzato le ali. Contratto concluso, causa all’universal da parte di mia zia.
Io operata d’urgenza, mandata a riabilitarmi a Khöln. E se non avessi potuto più suonare, sarei morta. Perchè non me ne fregava niente del resto, se non avevo una batteria sua cui picchiare forte. Non mi potevo più sfogare, il mio polso non mi rispondeva. Non c’era.
Operazione di merda, fatta ancora peggio.
E riabilitata malissimo.


{Dieci anni prima, München.}

{Niemand hört dich
Niemand sieht dich!
Jeder friert hier
Jeder verliert hier!}


Mi sentivo soffocare.
Letteralmente, mi mancava l’aria.
Ero sdriata su un lettino duro, e una maschera scomoda e pesante mi oppimeva naso e bocca.
Ricordo perfettamente quella sensazione d’angoscia che mi stava lentamente macerando il cuore, rendendolo ogni giorno più pesante.
Quelle luci così forti, quei neon tremendamente freddi, privi di vita.
Lo ricordo come se fosse ieri. E quel che è peggio, è che ogni ieri è il rivivere di quell’agonia.
Quell’attesa spasmodica, assolutamente al limite tra crisi isterica e crisi di rabbia che mi faceva scatare come una molla al minimo tocco.
Assottigliai le labbra ancora di più di quanto non lo fossero già, come una linea rosata nell’immensa pallidezza del mio viso. Respirai forte dal naso, socchiudendo gli occhi, tremante.
Merda, tremavo.
E avrei voluto potermi fare coraggio, avrei voluto potermi strappare tutti quei cavi di dosso, avrei voluto Christa vicino e un’abbraccio stretto.
Avrei voluto poter avere in mano il telecomando della mia vita, dare al stop, rewind, e rincominciare daccapo, scansando tutto.

Perchè se non mi avesse ucciso l’operazione, lo avrebbe fatto il panico, da lì a poco.
Su quel lettino d’ospedale, in una sala di operazioni e con un’anestesia in corso.


La sonnolenza indotta da quel fiato meccanico dal vago sapore dolciastro mi sapeva ad ipocrita, tanto quanto gli incoraggiamenti fattimi, senza guardarmi negli occhi, dai medici che mi avevano seguito fino a quell’operazione. L’operazione che loro consideravano definitiva.
La definitiva, si: “Dorcas potrà mai tornare a suonare?”

Tra la soglia del sonno e della veglia, resa labile per colpa del sonnifero, mi resi conto che ormai era fatta.
Avevo giocato la mia carta, ma avevo perso.

E da quel momento, non ne sarebbe potuto venire niente di buono.

.-.-.-.-.

{Sie redet nicht mehr,
weil niemand sie versteht
Ihre Hoffnung stirbt, weil der Winter nicht mehr geht}


La luce entrava a fiotti dalle enormi vetrate dello studio del prestigioso medico Olufses. Socchiusi gli occhi, cercando di infocare la figura dall’altro lato della prestigiosa scrivania in noce, pensando, nel mentre, a quanto avrei voluto con me un paio di occhiali da sole.
Strizzando gli occhi, cercai di dare un volto a quella che fino ad adesso era stata solo sagoma scure, ma mi scoprii del tutto incapace di farlo: non trovavo umano conservare una placidità assoluta nel dire una notizia del genere.
Non concepisco che la gente possa essere così indifferente, o flemmatica.
Abbassai gli occhi verso le mie all-star consumate, convinta che quel medico da strapazzo non avrebbe più proferito verbo dopo avermi fatto pomposamente accomodare una sedia dallo schienale rigido, del medesimo stile della scrivania.
Incredibile come la punta delle mie scarpe fosse ormai di un uniforme beige per lo sporco.
Sporche.

Come tutto quello che mi circondava.
C’era un qualcosa di profondamente malsano, in tutto questo. lo sentivo suppurare in profondità, conquistando ogni giorno una parte di piu della mia fetta di vita, fino a quel momento immota, per trasformarla in un coktail pericoloso di cinismo e rabbia. Un qualcosa che mi stava procurando una crisi di rigetto incredibile.

Deglutii, socchiusi gli occhi per colpa dei riflessi del fermacarte di metallo sulla scrivania, e mi rassegnai ad aspettare.

Le labbra bruciate dalla mia stessa aciditá, un polso sfibrato per la mia cocciutaggine, tredici anni e solo terra bruciata intorno a me. Mi potevo quasi vedere attraverso l’ottica indifferente di quel chirurgho troppo pagato, troppo famoso e troppo indifferente al sogno infranto di una dei suoi tanti pazienti.

Piccola, magra e smunta, con abiti informi e dai colori scuri che rivelavano che i chili erano stati persi troppo in fretta per poter comprarne di nuovi.
Era una ragazzina fragile, una bambina con ancora le guance umide e gli occhi torbidi di rabbia, le labbra gonfie, rosse per le troppe volte che sono state morse e per un piercing argentato al centro esatto del labbro inferiore, di cui ancora si intravedeva l’alone rossastro tipico delle prime settimane.
Pallida, dal passo incerto di chi non ha ancora preso possessione del suo nuovo corpo e dai corti e ricci capelli, prima neri, adesso dalla ricrescita bianca.

Ma te, a te professionista di successo, tutto questo non fà paura.
Solo, non riesci ad incontrare quello sguardo blu cupo, torbido e vivido come il tramonto delle notti d’inverno, elettrico, crepitante d’ira e lamenti repressi.
E il suo sguardo da bambina è la condanna alla tua inerzia.

Perchè quando l’hai vista arrivare con quel polso, hai capito che era solo questione di tempo.
Perchè, ti sei chiesto, Dio dà il talento a gente che non ha la capacità di svilupparlo?
Aveva polsi deboli.
Assurdamente fragili. Eppure l’avevi sentita, una delle poche volte che eri andato a visitarla direttamente in studio, dato che non aveva neppure tempo per venire in studio.
L’avevi sentita e l’avevi vista, e, per un solo momento della tua vita scandita dall’ovvio tran-tran quotidiano, ti eri sentito vivo nella schiacciante cosapevolezza che lei non avrebbe mai potuto aprire le ali.
Perchè lei, Ed era solo questione di tempo, non avrebbe mai potuto aprire le ali.

-no, non si è ripresa.

Non, negazione. Due piccole lettere che presuppongono la negazione assoluta ed inappellabile di un concetto. Un concetto che per me era l’equivalene del parlare.
Basico.

Sollevai di colpo sguardo, mentre la bocca si inaridiva e smettevo di torturarmi le mani.

-ho potuto fermare il processo degenerativo del polsi, ma, adesso come adesso, non si è potuto permetterle di recuperare un’uso ottimale polso, non si dispone delle tecniche sufficienti.

Il sole, come ad un tacito ordine, era appena stato coperto da una nuovola grigia e carica di pioggia.
Distolsi lo sguardo dalla faccia placida del medico, dal suo taglio di barba curato e calvizie incipiente, occhiali dalla montatura d’oro e camice immacolato.

Sospirai, tremante. Deglutii sonoramente.
Continuando ad ossevare il grigio pavimento di marmo, espirai, lentamente, cercando di non cadere pezzi. Non subito, per lo meno.

Chiudo gli occhi, e cerco di parlare.
Una volta.
E un’altra.
Sento gli occhi bruciarmi e avverto un forte retrosgusto ferroso in bocca. Credo di essermi morsa le labbra a sangue.

{wer bin ich?}

-si riguardi.

Cerco di non rispondere. Cerco di non dare di matto, non adesso.
Non subito. Perchè l’isteria che mi sta pulsando nelle vene, questo scattare con vulso della mia mano destra, so che sarebbe capace di fare qualsiasi cosa.
Per esempio, prendere quel cazzo di fermacarte in argento, fedele riproduzione dell’arco di brandeburgo di Berlino, e tirarlo fuori dalla finestra.
Ma se dobbiamo iniziare una vita all’insegna della frustrazione, beh, meglio iniziare ad accumulare punti.

-si riservi.

Apro gli occhi e, miracolosamente, quella lacrima traditrice mi fa il santo favore di non cadere. Distolgo lo sguardo dalle affollate librerie in cupo legno color noce, che ricoprono tre pareti dell’enorme studio, e li centro nel medico.
Che scopro ad evitare il mio sguardo. Afferro con un gesto violento la mia bistrattata sacca adidas ai miei piedi, per poi alzarmi.

Mi avvicino alla suddetta scrivania, isola lignea in un oceano di fredo marmo, l’aria resa pesante dal suo imbarazzo, dal mio furore e da un temporale che ha tutta l’aria di voler iniziare ad imperversare adesso, sui tetti di una cupa München.
Mi appoggio con un gesto a stento controllato sul bordo della scrivania, inclinandomi verso un medico un poco perplesso. La mia smorfia sembra dire tutto, ma MrProfessionalità sembra lo stesso stupito di ritrovarsi una giovane paziente che gli sta ringhiando a venti centrimetri dalla giugulare.
Ed è quindi con un tono aspro, basso e tagliente, che inauguro il mio nuovo motto.

-vada un pò a farsi fottere, signore.

.-.-.-.-.-.

Era finita.

Con tutto.

Sarei andata in un collegio privato, avrei perso tutti i contatti con Christa, per lunghi anni. Avrei sopravvissuto sei mesi senza la mia batteria, in piena fase di autodistruzione: se le avessi tentate tutte mi avrebbero ucciso per logoramento? O per crisi? Non mi sarei potuta esprimere, non avevo più con che cosa gridare al mondo che ci fossi.
Ero sola. E sola sarei voluta rimanere.


.-.-.-.-.-

{Dieci anni fà, Stuttgart. Collegio privato G.}

Osservai distratta il mio riflesso indifferente nello specchio sopra il cassettone della mia camera.
Una ragazzina troppo magra e troppo bassa per avere tredici anni e dieci mesi mi ricambiò con una smorfia sofferente, due piercing che sbrilluccicavano al labbro inferiore e una inquietante chioma bianca tagliata in un caschetto disordinato.
Distolsi lo sguardo, posai la spazzola sul ripano.

Avevo sempre avuto paura del dolore. Aveo un sacrosanto panico, all’idea di un dolore lancinante in una qualsiasi parte del mio corpo.
Temevo il bisturi, le relazioni serie, temevo tutto.

Ma quella che temevo di più, era me stessa e la mia capacità di alienazione.

Mi ero dimenticata cosa volesse dire avere qualcuno che conoscesse qualcosa di me, all’infuori di uno stupido nome.
Mi ero quasi dimenticata cosa volesse dire l’affannarsi per ottenere qualcosa.
Non ricordavo cosa significasse potersi sfogare con qualcosa che non fossero pugni alle pareti.
Sciovolavo insorabilmente nell’apatia più nera, canticchiando stralci di Requiem di Mozart e procurandomi il necessario per finirla.
Mi ero voluta isolare, e ci ero riuscita maledettamente bene.
Nessuno si era preoccupato.
Perchè tutto era più importante.

Mi avvicinai con passo leggero al tavolo della mia stanza, osservando come la luce che entrasse dalla finestra fosse calda e cristallina.
Tutto il contrario del vortice di sentimenti inconfessabili che avevo visto turbinare nel mio sguardo di poco fà.

E facciamola breve.

Sospirai, alzando inl mento in una sorta di gesto sprezzante verso tutto quelo che mi circondava.
Ero riuscita a raccattare quel tanto di coraggio che bastava per programmare tutto nei minimi particolari.
Lezioni di anatomia, incursioni nell’ambulatorio della scuola

Con un gesto sicuro afferrai l’anestetizzante locale in spray, comprendo con la mano la dicitura “efficace in tre minuti”.
Lo agitai, come raccomandato dalle istruzioni, per poi poggiarlo un momento sul tavolo di fronte a me. Mi distrassi un momento nell’osservare il grande ciliegio che dal giardino della scuola arrivava fino alla finestra di camera mia, osservando come fosse disgustoso il fatto che facesse una splendida primavera, esattamente nel momento in cui mi trovavo così. Con un verso di noia rivolsi la mia attenzione alla scrivania: ricapitolai tutto il necessario, sistemai gli stumenti il più vicino possibile a me in maiera tale da poterli utilizzare con il minore spreco di tempo possibile, per poi avvicinarmi alla porta e chiuderla a chiave.

Dopo essermi spruzzata un denso strato di anestetizzante su entrambi i polsi, attesi un minuto esatto dei tre previsti prima che iniziasse a fare effetto.
Poi presi il coltello dalla lama seghettata e con un gesto preciso incisi il polso in più profondità possibile. Osservai come il sangue, scarlatto, scendesse rapidamente sul pavimento e su come il dolore mi avesse fatto mordere la lingua.
Sempre ad occhi socchiusi ed espressione immutabile, riuscii a passarmi il coltello nell’altra mano.
Evidentemente non avevo inciso troppo in profondità il muscolo, limitandomi a beccare la vena giusta.
Mi complimentai silenziosamente con me stessa per come avessi assimilato bene le lezioni di anatomia.
Altro taglio, fatto con violenza, forza e precisione.
Giusto in tempo, perchè sentivo le mani sempre più pesanti e meno sensibili.
Sospirai. Poi, con un gesto deciso del braccio, ripulii la scrivania di tutto. Ridacchiai al rumore di tutti i ninnoli che si infrangevano sul pavimento. Il dolore lancinante del polso si attutiva ogni secondi di più, e questo mi portava un enorme sollievo.
Poi mi sedetti pesantemente sulla sedia, appoggiando la testa sulle braccia Ed osservando distratta fuori dalla finestra.
Con piacere, sentii i miei occhi abbassarsi per qualcosa di inquietantemente simile al sonno. Sbadigliai, mentre con un tono assolutamente melodrammatico pensavo a quanto fossi cambiata.

{Sie hat genug von dem ewigen Spiel
Sie hat genug von ihren Hassgefühlen!
Sie bricht aus, rennt raus,
Stolpert im Schnee, oh nein!
Sie schreit zu Gott: „Kannst du mir verzeihen?“}


-.-.-.-.-.

Mi riaggrappai a Christa in un abbraccio che sapeva di disperazione, rincominciando a singhiozzare.
La strinsi forte, fortissima, come se lei Ed i suoi diciassette centimetri in più di statura potessero essere la mia unica ancora di salvezza. La sentivo ricambiare l’abbraccio con quasi altrettanta forza. E mi resi conto che Christa era l0unica persona che potesse dire veramente di conoscermi, l’unica che vedesse la reale differenza tra Dodò e Dorcas, l’unica che capisse realmente la mia debolezza, forse perchè c’era sempre stata, nel bene e nel male, anche quando l’avevo evitata e l’unica cosa che le avevo detto dopo anni di lontananza fosse stata un freddo “ciao”.
Chiusi gli occhi, affogando in quella felpa bordeaux che non era evidentemente sua, eppure che era impregnata del suo profumo così femminile e dolce.

Le mia lacrime le stavano inzuppando la felpa, rendendola umida e scomoda. Per me.
Ma euelle non erano lacrime mie.
Erano lacrime della Dodò paurosa, repressa, quella che si fa le pippe mentali, che non segue l'istinto e che ha paura di sbagliare e di dare voci ai suoi sentimenti.
Erano lacrime che sapevano di nostalgia e autocompatimento, lacrime lievi e sempre presenti.
Ma c’erano anche lacrime che costava orgoglio piangere, che profumavano di rinnovata sicurezza e una determinazione assurda. Era Dorcas, la pazza esotica e manegreghista, quella parte di me che sà smonta la batteria ad occhi chiusi e che vorrebbe tornare a dare tempo al mondo tramite il suono scandito della sua batteria.
C’erano lacrime di entrambe nella felpa bordeaux, che sapeva un pò di Christa e un pò di Georg, di amore e amicizia, Tokio Hotel e ricordi di un sogno infranto.
C’erano le due parti separate da un braccio sinistro tatuato dal polso fino al seno, in ricordo di un passato fragile e di un futuro incerto, c’erano Dodò e Dorcas, unite da uno stesso corpo e dagli stessi sogni, c’era tutto.

In quel momento, stretta a Christa, piangendo lacrime che sapevano di ricordi sgradevoli, con Gustav tre piani più sotto e la mia vita sbattuta in faccia con un precisione chirurgica e crudele, mi resi conto che non sarebbe potuta continuare così per sempre.
Avrei dovuto rendermene conto prima, che mi serviva staccare.

{Sie hat genug von dem ewigen Spiel
Sie hat genug von ihren Hassgefühlen!
Sie bricht aus, rennt raus.}


:_:_:_:_:


Canzone: Niemand Hört Dich – Pan!K.
Potrete trovare la traduzione Qui!
(C)nevadatanforum.


No, dico, ce l’abbiamo fatta! *___________________*
Innanzitutto, grazie per avermi sostenuto con questi fntastici commenti, a tutte quelle che l’hanno fatto.
È stato bellissimo vedersi così apprezzata, anche se, ovvio, da insicura cronica quale sono, io mi chieda se state sul srio parlando di me o non mi abbiate confuso con qualacun altro.

Mi rendo conto che questo è un capitolo un poco strano, a momenti piatto come l’encefalogramma di un morto, altre volte un poco melò.
Oh, mamma mia, sento di non averci messo tutto quello che potevo. Nonostante pensi che si recuperi un pochettino con il finale, credo che avrei potuto fare di meglio.

Mah, se son spine, pungeranno.

Ma, decisamente, sarebbe fantastico cercare di capire quanto vi ho realmente trasmesso di tutto ciò, attraverso i vostri commenti. Non chiedo papiri, ovvio, ma anche il solo fatto che mi facciate una seria critica sul come mi sia saltato in testa di scrivere una cavolata del genere sarebbe un gran bel passo avanti. <3<3<3

La distinzione tra Dorcas e Dodò è tutta lalalesca. Rebdetele grazie, perchè senza quella chiaccherata in msn in piena notte, oggi non ci sarebbe questo chap.

Scusate se oggi ho così poco tempo per dedicarvi tutti i grazie di dovere, ma mi sono già beccata un lunga punizione per questo chap. Inffatti godetevelo, perchè prim di una settimana non potrò toccare word. T.T
{mi sento già svenire.}
Comunque i Danke! Sono doverosamente vostri, ovvio. *-*

D a n k e!
Gracias.
Grazie.
Merci.
Thanks.



A Marty*, perchè mi ha scritto una recensione che credo ogni autore vorrebbe avere. Perchè è così buona da infarcirmi di complimenti come un tacchino per natale, perchè mi ha detto che rispecchia la realtà {magari potessi litigare tutti i gg con Gustav... significherebbe essere vicino a Raperonzolo! *_*} e perchè la sua ammirazzione vale oro, per la mia autostima.
A Lales, perchè quella santa donna mi sopporta, mi ha fatto luccicare gli occhietti nel vero senso della parola e mi ha “suggerito” di postare entro il 2013. Alchè io, per farle un dispetto, ho postato tutto adesso. XD naturalmente rosicherà, come farete tutte: perchè qui, tra Dorcas e Gustav i fuochi d’artificio non esiteranno a scoppiare. Il condizionale si chiama così non per niente, eh. *_* santa donna, te l’ha mai detto nessuno che sei l’incoraggiatrice perfetta? <3
A Chocol@t perchè mi ha scritto un paprio che ho amato, che ha rispecchiato esattamente quello che cercavo di esprimere, perchè mi ha preferito a matematica {l’eterno rivale, Dio, che orgoglio! <3} perchè mi ha detto {ma dove?} che ho una cura dei particolari assurda, perchè le ho fatto sciogliere il gelato tanto si è immedesimata, perchè scrive delle recensioni che {col cacchio che sono disordinate, Ilá!} che mi hanno fatto piangere dall’emozione {cavolo, un’attacco triplo di voi tre è stroncante, sul serio! *-*} e perchè si è lasciata convincere a leggere. E lasciarmi pure un commento che pochi così ne riceverò nella mia vita.
A cho89 Perchè le ho fatto venire un’attacco di ansia per non aver aggiornato fino ad adesso.
A .Jada. Perchè è rimasta stupida di quanto sia bella la mia ff. {in realtà mente, non può essere vero. XDXDXD}
 
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63 replies since 21/4/2008, 17:27   987 views
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